Due sono le ossessioni dell’oratore: la frase di rito finale «E ora se fra il pubblico c’è qualcuno che vuol intervenire...», seguita invariabilmente da un silenzio raggelante, e l’agguato del fan grafomane. La seconda è di gran lunga la più sopportabile. Una certa Marina insegue il pianista Giovanni Allevi in qualsiasi luogo del mondo parli o suoni, magari per picchiarlo, chissà. Oriano Lenci, infermiere di radiologia, tampina gli scrittori che presentano il loro nuovo libro, ma in genere solo per fargli firmare copie ingiallite di opere precedenti, quanto di peggio possa capitare a chi è iscritto alla Siae. Giuseppe Carosella, veneto fantasioso che frequentava il mio amico Sergio Saviane, s’è presentato a una conferenza per esibirmi una serie di fotografie del compianto critico televisivo composto nella bara.
Credevo d’aver visto tutto, in materia. Fino a quando non sono incappato in Gianni De Girardi, un bellunese di 50 anni che è riuscito nell’impresa di mettere in mano al capo dello Stato, Giorgio Napolitano, una stanghetta dorata recuperata nella discarica agordina degli occhiali Luxottica e Safilo e a fargli tracciare la firma presidenziale su una tavoletta di argilla.
Intendiamoci, da un bel pezzo esiste un vasto mercato di questi reperti. La casa di collezionismo Stanley Gibbons, che a Londra è su piazza dal 1856, per 16.800 euro offre l’autografo di Abramo Lincoln, per la metà quello di Winston Churchill, per 5.530 quello di Adolf Hitler, per 840 quelli di Benito Mussolini e re Vittorio Emanuele III appaiati, e per appena 140 quello di Tony Blair. Ma De Girardi è andato oltre: ha saputo trasformare la sua fissazione in una forma d’arte. Non fidandosi di penne e inchiostri, s’è rifatto agli scribi sumeri, egiziani, ebraici e romani e alle loro tavolette di argilla e di cera. Perciò si presenta agli incontri pubblici con una piastrella di creta umida, 30 centimetri per 20, racchiusa in un cofanetto di legno. Attende il Vip al varco e, zac, gli squaderna lo scrigno sotto gli occhi. Il malcapitato deve impugnare la stanghetta e sottoscriversi. De Girardi richiude la custodia e se ne va soddisfatto. Dopo qualche giorno, inforna la tavoletta per 36 ore e ne ricava una sottile mattonella di terracotta.
In dieci anni di raid solitari ha incastrato in questo modo più di 900 personaggi pubblici, quasi il doppio rispetto alle piastrelle che Mario Berrino, proprietario del Caffè Roma di Alassio, a partire dal 1953 cominciò a far autografare ai suoi celebri clienti, primo fra tutti Ernest Hemingway. Il singolare primato si può spiegare con un imprinting: «Mia mamma mi parlava sempre del famoso muretto di Alassio. Prima che io nascessi, faceva la badante e accompagnava in riviera la madre di Giampiero Boniperti, costretta in carrozzella». O forse col fatto che il nostro abita a Quero, un presente indicativo latino, quaero, che significa cerco, desidero, voglio, bramo, richiedo, esigo, ottengo.
Nel carniere di De Girardi sono finiti politici (Francesco Cossiga, Giulio Andreotti, Gianfranco Fini, Roberto Maroni, Renato Brunetta, Francesco Rutelli, Antonio Di Pietro, Luca Zaia, Sergio Cofferati, Magdi Cristiano Allam), premi Nobel (Rita Levi Montalcini), cantanti e personaggi dello spettacolo (Fiorello, Sting, Gianni Morandi, Zucchero, Laura Pausini, Pierangelo Bertoli, Bruno Lauzi, Nilla Pizzi, Paolo Poli, Roberto Vecchioni, Renzo Martinelli, Antonella Ruggiero, Jo Squillo), presentatori televisivi (Simona Ventura, Milly Carlucci, Michele Mirabella, Gigliola Cinquetti), campioni dello sport e alpinisti (David Beckham, Lino Lacedelli, Reinhold Messner), giornalisti (Giampaolo Pansa, Sergio Zavoli, Mauro Mazza, Lilli Gruber, Toni Capuozzo, Oscar Giannino, Marco Travaglio, Bruno Pizzul, compreso il direttore del Giornale, Vittorio Feltri), intere comitive (l’Orchestra d’archi d’Israele, i campioni del mondo di salto con l’asta). E persino il Vicario di Cristo sulla Terra, Benedetto XVI. Accadde il 16 ottobre 2004, sei mesi prima che diventasse papa. «Don Georg Gänswein, il segretario, fece di tutto perché non mi avvicinassi. Ma io pregai il vescovo di Belluno di costringere sua eminenza a muovere quattro passi e così gli piombai alle spalle con la mia tavoletta. Il cardinale Joseph Ratzinger firmò con la stessa penna che stava usando per autografare le copie del suo libro Fede, verità, tolleranza. Credo che poi l’abbia buttata via, perché non esiste che una biro continui a scrivere dopo che l’hai intinta nell’argilla».
A tutt’oggi De Girardi ignora che nei negozi di belle arti venderebbero uno stilo, al posto della stanghetta degli occhiali, per scrivere sulla creta. Molte altre cose ignora questo collaboratore scolastico, «bidello, per capirci», che lavora di pomeriggio all’istituto comprensivo di Quero, «single» dice lui, anche se mai come in questo caso sarebbe più corretto usare l’espressione veneta «vita sola». Per esempio ignora che cosa sia il conforto di un’abitazione dove non si debba camminare su un tappeto di briciole di pane e fiammiferi bruciacchiati, galleggiando in un caos primordiale che stringe il cuore solo a vederlo.
Come mai vive in questa disordinata solitudine?
«Non ho più i genitori. Mio padre, saldatore idraulico, morì nel 1969, ad appena 39 anni, mentre stava lavorando di sabato per la Montedison all’acquedotto di Bussi sul Tirino, in Abruzzo. Mia madre rimase vedova con due figli piccoli da crescere e 500 mila lire d’indennizzo. Bastarono appena per riportare la salma a Quero. Se ne andò presto anche lei, poverina, nel 1993. Aveva 58 anni. Leucemia. Colpa della fungaia».
Quale fungaia?
«Oltre ad andare a servizio nelle case, coltivava i funghi nelle grotte, come buona parte delle donne di qui, sempre in ginocchio, le mani nella pollina arricchita con sostanze chimiche. Si sono ammalate quasi tutte di tumore».
Che studi ha fatto?
«Istituto alberghiero a Feltre. Dovevo diventare sommelier. Ma durante l’adolescenza mi sono venute le febbri reumatiche, che mi hanno danneggiato la muscolatura: non ho più la forza nelle dita, una bottiglia potrebbe sfuggirmi di mano. Avrei diritto alla pensione d’invalidità. Da 25 anni preferisco lavorare come bidello per sentirmi utile».
Perché s’è dedicato a questa stravagante raccolta?
«Me l’ha chiesto anche Napolitano. Gli ho risposto: perché incontrare i personaggi famosi mi dà lo stimolo ad andare avanti. L’unico passatempo qui nel Feltrino è bere all’osteria con quattro imbriagòni. “La prego di continuare così”, mi ha incoraggiato il presidente. ’Na ’olta andèa a rossi. Ero sempre depresso. Nel 2000 ho smesso per dedicarmi alle firme. Da allora ho abolito tutti gli alcolici. Solo un bianco ogni tanto».
Ma perché proprio su terracotta?
«Anni fa avevo chiesto un autografo a Folco Quilici. Dopo qualche mese non l’ho più ritrovato. Mi sono detto: ci vuole qualcosa che resti».
È un hobby costoso?
«Finora 15.000 euro solo di trasferte. Ma adesso ho trovato una ragazza, una disoccupata di Feltre, che mi ha messo in riga: “Limitòn i viaggi, limitòn le spese”».
Il primo che ha catturato se lo ricorda?
«Gianni Morandi. L’avevo inseguito invano in tre città: Verona, Treviso e Castelfranco Veneto. All’ultimo concerto, a Trieste, i poliziotti mi hanno sequestrato la tavoletta. Pensavano che si trattasse di un ordigno al plastico: sa, erano presenti molte autorità, col sindaco Riccardo Illy in testa. Dopo mezz’ora me l’hanno restituita a pezzi. Mi sono messo a reimpastarla davanti al palco. Alla fine dell’esibizione Morandi mi ha detto: “Vieni su”. Me la facevo sotto per l’emozione».
Al presidente della Repubblica come c’è arrivato?
«Grazie a Iole ed Enrico Cisnetto, organizzatori di Cortina InConTra. Il segretario generale del Quirinale era perplesso: “Il presidente deve andare a dormire”. Fa niente, aspetto, gli ho risposto. Cinque ore di attesa. Alla fine ha scritto “Giorgio Napolitano”, sia pure con mano malferma».
Lo credo bene, impugnava un’astina degli occhiali...
«D’altronde in passato ho provato con il bambù e gli stuzzicadenti: peggio che andar di notte. “Come faccio ad afferrarla?”, s’è lamentato il capo dello Stato. Ridevano tutti, anche perché io mi sono rivolto alla moglie chiamandola signora Franca».
Bel gaffeur.
«“Io mi chiamo Clio, ma se viene a Roma le faccio incontrare la signora Franca e anche il signor Ciampi”, mi ha risposto divertita. Il marito ha voluto aggiungere “Eolie-Dolomiti” sotto la firma, per ricordare il ponte ideale fra Stromboli, dove da molti anni va in vacanza, e Auronzo di Cadore, dov’era venuto a celebrare l’inserimento delle nostre montagne fra i 44 siti italiani patrimonio mondiale dell’umanità».
Che se ne fa di tutti questi autografi? Li vende?
«Mai! Un’anziana signora di Asolo mi ha chiesto se le cedevo la firma di Gina Lollobrigida. Non se ne parla nemmeno. Non ho prezzi e non vendo. Vorrei invece fare un calendario per aiutare i malati di sclerosi laterale amiotrofica. Ho avuto la sfacciataggine di chiedere la firma al loro presidente, il medico Mario Melazzini, anche lui affetto da Sla. La moglie mi ha guardato storto, come se volesse farmi capire che il marito non poteva scrivere. Invece Melazzini mi ha regalato il più bel autografo della mia collezione e ci ha aggiunto “grazie”».
Qualcuno ha rifiutato di sottoporsi al rito?
«Ci ha provato Cossiga, facendomi tenere a dieci metri di distanza. Ma alla fine ha ceduto, dicendomi: “Questo è il secondo autografo della mia vita. Il primo lo diedi a Luciano Pavarotti”. Ho avuto la conferma da Napolitano: “Ma lei si chiama Fortunato? Perché guardi che ottenere la firma da Cossiga non è semplice”. Le guardie del corpo volevano impedirmi d’avvicinarmi anche ad Andreotti. “Come mai s’inginocchia davanti a me?”, mi ha chiesto il senatore a vita. Ho replicato: per forza, col colpo di karate nella schiena che mi hanno dato i suoi gorilla...».
Nessun rifiuto.
«Be’, no, qualche villano c’è stato. Gino Paoli fumèa (fumava, ndr) come un tartaro e s’è girato dall’altra parte. Il figlio di Eduardo De Filippo mi ha risposto altezzoso che queste cose non gl’interessano. Paolo Villaggio ha rifiutato la prima volta. La seconda volta ho capito perché: ha estratto dalla tasca un paio di guanti bianchi di cotone, se li è infilati e ha firmato con la calligrafia di un bambino. Ha il terrore delle malattie, non vuole avere contatti con la gente».
Silvio Berlusconi ce l’ha?
«No, mi manca. Però mi pare un uomo alla mano, penso che mi farebbe l’autografo volentieri».
Certo, le uniche terrecotte che non gli piacciono sono quelle tirate nei denti.
«Vorrei anche il presidente Obama. Gli manderò la tavoletta chiusa nel cellofan perché non si secchi, con una lettera scritta da un mio amico che sa l’inglese».
Ma perché la gente chiede l’autografo ai personaggi famosi?
«Me lo sono sempre chiesto. Ho conosciuto una coppia di Sacile che è salita sino a Farra d’Alpago solo per far firmare alla campionessa olimpica Sara Simeoni la locandina della serata, da aggiungere a un altro mezzo migliaio appese in casa».
Che cos’è secondo lei la celebrità?
«Stress. I personaggi famosi vivono come zombie. Ho atteso per due ore Maria Grazia Cucinotta davanti a una pellicceria di Cortina, dove stava facendo acquisti. Lì fuori la aspettava la figlioletta, che allora aveva 4 anni. “Ma tu sei capace di fare le bolle?”, mi ha chiesto, porgendomi un flacone di acqua saponata che la nonna le aveva appena comprato. Alla fine mi sono reso conto che le stavo facendo più da mamma io di sua madre».
I ragazzi come si comportano nella scuola dov’è bidello?
«Pàcia ciunghe, masticano chewing-gum da mattina a sera. Maleducati e presuntuosi. Il pomeriggio bighellonano nei bar o vanno a fumare e a bucarsi dietro la chiesa di San Valentino. Gli unici rispettosi sono i cinesi, ma ghe n’avòn solo una ventina».
Da piccolo che cosa sognava di fare?
«L’esploratore o l’archeologo. Ancor oggi con la mia macchina fotografica vado a caccia di bellezze naturali sulle vette qui intorno. Ora sto documentando la vita delle api. A ogni estate trovo nuovi fiori tropicali di origine ignota. Sarà il riscaldamento globale? Arrivano anche bestie particolari, specie di calabroni, però cattivi. T’inseguono senza preamboli. Sono di colore blu. Non si sa neanche il nome. La professoressa Viviana Boz, insegnante di scienze naturali e guida nel Parco delle Dolomiti bellunesi, mi ha detto di non averli mai visti neppure lei prima d’ora».
I suoi genitori sapevano fare la firma?
«Mio padre con qualche difficoltà. Scriveva le “i” senza il puntino sopra. Per l’Inps diventò De Gerardi anziché De Girardi. Volevano togliere la pensione di reversibilità a mia madre».
Il suo autografo com’è?
«Molto particolare. Tutti mi prendono per un arabo». (Lo traccia).
In effetti sembra quello di Saddam Hussein.
Perché ha messo il cognome prima del nome?«Ho sempre fatto così».
Prima va il nome.
«Aaah, non lo sapevo. Anche oggi ho imparato qualcosa».
(482. Continua)
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