Eugenio Pacelli, che da nunzio apostolico in Germania aveva colto «fin dal suo sorgere il pericolo costituito dalla mostruosa ideologia nazionalsocialista», da Papa agì spesso «in modo segreto e silenzioso» perché «solo in questo modo si poteva evitare il peggio e salvare il più gran numero possibile di ebrei». Per la seconda volta nel giro di venti giorni Benedetto XVI interviene sulla vexata quaestio dei «silenzi» di Pio XII. Interviene da Papa, non da storico, celebrando in San Pietro, insieme ai cardinali e ai vescovi presenti al Sinodo, il cinquantesimo anniversario della scomparsa di Pacelli, avvenuta a Castelgandolfo nelle prime ore del 9 ottobre 1958. Ma l’omelia, che contiene parole pesate e puntuali, segna un passaggio importante del dibattito sul Pontefice chiamato a guidare la Chiesa negli anni del secondo conflitto mondiale e della Guerra Fredda, anche perché pronunciata due giorni dopo le dichiarazioni del rabbino capo di Haifa, Shear-Yashuv Cohen, il quale, invitato a parlare al Sinodo dei vescovi sulla parola di Dio, ha imbarazzato l’uditorio (e Benedetto XVI) parlando dei «silenzi» che non si possono perdonare e in un’intervista alla Reuters ha detto che se avesse saputo della celebrazione per l’anniversario di Pio XII non sarebbe intervenuto a Roma.
Papa Ratzinger, che già aveva parlato dell’opera di carità verso i perseguitati del suo predecessore ricevendo in udienza i partecipanti al convegno organizzato dall’associazione «Pave the Way» presieduta dall’ebreo americano Gary Krupp, ieri ha presentato la figura del predecessore inserendola nel contesto storico. Senza fare polemiche, ha smontato e smentito la leggenda nera di un Pontefice filonazista e silenzioso per paura.
Ha ricordato l’attività di Pacelli come rappresentante della Santa Sede in Germania e la sua collaborazione al «tentativo di Benedetto XV di fermare “l’inutile strage” della Grande guerra» e ha sottolineato come il nunzio colse «fin dal suo sorgere il pericolo costituito dalla mostruosa ideologia nazionalsocialista con la sua perniciosa radice antisemita e anticattolica». Il Pontefice non aggiunge altro, ma documenti recentemente pubblicati mostrano come già nell’aprile 1924, in una lettera al fratello Francesco, Pacelli parlasse del «furioso vento... che spira in questo momento da parte dei partiti nazionalisti», che «dà le più gravi preoccupazioni. Tutta la situazione è in generale ora difficilissima ed assai preoccupante in Germania, a causa appunto dei progressi dei partiti nazionalisti...» .
Benedetto XVI ha poi ricordato l’appello di pace lanciato da Pio XII appena eletto Papa, nel tentativo di scongiurare il conflitto, ha citato il grande amore di Pacelli per Roma e la sua decisione di rimanere in Vaticano a qualunque costo: «Non lascerò Roma e il mio posto, anche se dovessi morire». Ha ricordato anche «le privazioni quanto a cibo, riscaldamento, abiti, comodità, a cui si sottopose volontariamente per condividere la condizione della gente duramente provata dai bombardamenti e dalle conseguenze della guerra».
Poi Ratzinger ha affrontato la questione dell’atteggiamento tenuto dal Vaticano durante la persecuzione ebraica, citando il radiomessaggio del Natale 1942, nel quale Papa Pacelli, a pochi mesi dall’inizio della terribile «soluzione finale» contro gli israeliti, con «voce rotta dall’emozione deplorò la situazione delle “centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento”, con un chiaro riferimento alla deportazione e allo sterminio perpetrato contro gli ebrei».
«Agì spesso in modo segreto e silenzioso – ha aggiunto Benedetto XVI – proprio perché, alla luce delle concrete situazioni di quel complesso momento storico, egli intuiva che solo in questo modo si poteva evitare il peggio e salvare il più gran numero possibile di ebrei». Ratzinger ha quindi sottolineato i «numerosi e unanimi attestati di gratitudine» rivolti a Pacelli dalle più alte autorità del mondo ebraico, citando le parole pronunciate nel 1958 dall’allora ministro degli Esteri di Israele Golda Meir: «Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo, durante i dieci anni del terrore nazista, la voce del Pontefice si è levata a favore delle vittime. Noi piangiamo la perdita di un grande servitore della pace».
Ma il Papa ha voluto anche mettere in luce la grandezza del magistero di Pio XII e il fatto che i suoi insegnamenti hanno preparato il Concilio Vaticano II, citando le encicliche «Mystici Corporis», «Divino afflante Spiritu» e «Mediator Dei». Infine, Ratzinger ha appena sfiorato l’argomento del processo di canonizzazione di Papa Pacelli, dicendo di pregare «perché prosegua felicemente la causa di beatificazione...». È noto che l’8 maggio 2007 i cardinali e vescovi della Congregazione delle cause dei santi si sono pronunciati all’unanimità in favore delle virtù eroiche di Pio XII. Il decreto, che porrebbe il sigillo finale alla causa, non è però stato ancora promulgato per decisione dello stesso Benedetto XVI, che ha preferito far studiare ancora alcuni aspetti del processo. Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi ha infatti precisato: «Con le parole pronunciate nell’omelia a proposito della causa di beatificazione del servo di Dio Pio XII oggi in corso, il Papa ha inteso manifestare esplicitamente la sua unione spirituale a un auspicio diffuso nel popolo di Dio. Tuttavia non si è espresso sui passi successivi della causa e i loro tempi, cioè la firma del decreto sul riconoscimento delle virtù eroiche, che è a sua volta la premessa per introdurre la successiva pratica per il riconoscimento di miracolo». Il portavoce vaticano ha ricordato il voto unanime del maggio 2007, aggiungendo che «il Papa non ha ancora firmato il relativo decreto ritenendo opportuno un tempo di riflessione».
Al termine della celebrazione, Ratzinger è sceso nelle cripte di San Pietro e si è fermato a pregare sulla tomba del predecessore.
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