Il paradosso Sarkò: più si agita più perde voti

A caccia di un secondo mandato, il presidente fa l'iperattivo. Ma non azzecca una mossa

Il paradosso Sarkò: più si agita più perde voti

C’era una volta un Sarkozy che sapeva dominare se stesso, che riusciva a controllare il suo rancore, la sua rabbia esistenziale, le sue pulsioni vendicative; insomma a imbrigliare quel caratteraccio che più di una volta ha rischiato di far deragliare la sua carriera. Quel Sarkozy vinceva e affascinava proponendo un progetto politico, l’idea di una società capace di conciliare tradizione e apertura al mondo. Di quel Sarkozy non c’è più traccia, ma c’è qualcosa di misterioso e di contorto nella pervicacia con cui si ostina a danneggiare se stesso, nel tentativo, vano e paradossale, di risollevarsi, di ottenere una seconda chance. Elettorale, naturalmente. Chance, che, sondaggi alla mano, se si votasse oggi i francesi non gli accorderebbero.
Sarkozy è crollato e non è più risorto. Anzi, continua a peggiorare la situazione. E più si danna e più compromette la sua immagine.
Com’è possibile? Di solito l’attivismo di un presidente viene sempre premiato. Bush riuscì ad essere confermato nonostante la guerra in Irak, Berlusconi in campagna elettorale è il più bravo di tutti, persino il tedesco Schroeder arrivò a un soffio da una clamorosa rimonta contro la Merkel. Sarkozy invece no. Per una ragione in fondo semplicissima: perché non agisce da francese. O meglio: non si comporta come i francesi desiderino che si comporti un presidente.
Mitterrand commise molto errori, ma trasmetteva autorevolezza nel portamento e nelle scelte politiche. Chirac era politicamente modesto, ma coerente con una certa visione del Paese e del suo ruolo nel mondo. Entrambi, come Giscard e fino a De Gaulle, proiettavano un’immagine autorevole, distaccata, alta della presidenza. La parola giusta è: regale. Quella gradita dai francesi, che, per quanto repubblicani, desiderano che l’Eliseo sia guidato da un presidente che, un po’, sia anche re.
E non è solo una questione di look e di atteggiamento, ma politica, strategica. La Francia deve contare nel mondo e quando si muove deve farlo a ragion veduta in una prospettiva di lungo periodo, come conviene a una potenza nucleare.
Un Sarkozy nevrotico come Louis de Funès e iperattivo come un politico americano in un film di Hollywood, non corrisponde alle aspettative e dimostra di non capire più il proprio popolo. Nelle ultime settimane ha sbagliato tutto. Pensava che bastasse convocare un vertice sontuoso all’Eliseo con i leader del mondo per convincere i francesi della sua grandezza. E invece gli elettori, che non si sono mai lasciati coinvolgere dalla guerra in Libia, ora sono convinti che sia stata preparata e condotta male.
Ha cercato di contrastare Marine Le Pen, che lo sovrasta nei sondaggi, adottando atteggiamenti e politiche degne del Fronte Nazionale, mentre l’80% dei francesi è ancora moderato a avrebbe preferito un atteggiamento responsabile, capace di unire anziché dividere e invece vedono il proprio presidente adottare toni populistici e giocare a rimpiattino con l’Italia, chiudendo le frontiere, facendo dispetti a Bossi e Maroni. Non è questa la dimensione di un président, che, proprio perché davvero grande, non deve aver bisogno della gran cassa mediatica per risolvere problemi con Paesi vicini e mai oserebbe tradire con volgare disinvoltura i principi repubblicani.

Ovvero mai si comporterebbe come lui.
Sarkozy più si agita e più perde consensi. Se continua così non solo non sarà rieletto, ma rischia di non arrivare nemmeno al ballottaggio. Sarebbe il primo in assoluto. Bel record, non c’è che dire.

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