Alberto Toscano
da Parigi
Il nuovo primo ministro francese Dominique de Villepin, talmente fresco di nomina che non si è ancora presentato al Parlamento, ha già promesso via tv ai connazionali importanti novità di politica economica e sociale. Ieri si è vista una di queste novità: Parigi accelera le privatizzazioni, ma lo fa in silenzio e quasi di nascosto. Come se si vergognasse nel varare una misura del genere una settimana dopo londata «antiliberale» dei «no» al Trattato costituzionale europeo. Nel tardo pomeriggio di ieri, tranquilla domenica di giugno, è così stancamente rimbalzata sui computer una notizia di prima grandezza: la scelta governativa di ridurre la quota pubblica nel capitale del gruppo France Télécom, destinando successivamente gli introiti di tale iniziativa alla riduzione del debito francese, oggi di poco superiore al livello del 60% del Pil.
Il comunicato del superministro dellEconomia, delle Finanze e dellIndustria Thierry Breton annuncia che il pacchetto destinato a essere messo in vendita dallo Stato sul mercato azionario sarà compreso tra il 6 e l8% del capitale del principale operatore telefonico transalpino. Al termine delloperazione la quota pubblica in France Télécom sarà compresa tra il 33 e il 35 per cento. Il comunicato ministeriale precisa che lo Stato «resterà un azionista significativo di France Télécom nel medio periodo». Di qui il malcontento dei sindacati, che si oppongono alla privatizzazione progressiva e che considerano con apprensione sia lidea del «medio periodo» sia laccenno al concetto di «azionista significativo», senza indicazione di un livello minimo destinato a restare in mano allo Stato. Come dire che la quota pubblica può scendere ancora e che - nel lungo periodo - può persino scomparire.
Lo scorso settembre, quando sulla poltrona di superministro finanziario cera il leader liberale Nicolas Sarkozy e quando alla testa di France Télécom cera proprio lattuale superministro Thierry Breton, lo Stato ha ceduto una quota del 10,85% del gigante nazionale delle telecomunicazioni, scendendo così al di sotto del livello psicologico del 50% del capitale e scatenando unondata di proteste sindacali. Loperazione portò nelle pubbliche casse 5,1 miliardi di euro.
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