Da Parigi a Milano in 35 ore con una sosta a Eurodisney

Nell’Europa paralizzata il racconto di un viaggio diventato un’avventura

Daniela Fedi

Per rientrare a Milano dalle sfilate di Parigi ho faticato l’equivalente di una settimana lavorativa francese: 35 ore. Sono partita dall’albergo alle 13 di giovedì 26 gennaio, un po’ in anticipo visto che il volo Az 7907 era previsto per le 15.25. Vado a sedermi su una scomoda poltroncina davanti al gate A32. Lì incontro il vicedirettore di Vogue Italia, Ariela Goggi, impagabile compagna di sventura. Battiamo i denti dal freddo avvolte nelle nostre pellicce non tanto preziose quanto molto modaiole. «A Milano nevica» mi annuncia. «Meno male - le rispondo - almeno l’aria si ripulisce un po’». Ariela avrà la gentilezza di non rinfacciarmi questa frase infelice nemmeno una volta.
Il pomeriggio trascorre tra momenti sì, momenti no, più no che sì. L’aereo arriva verso le 17 da Linate che subisce temporanee chiusure per ripulire l’unica pista dalla neve. Pare che Malpensa sia già chiuso, ma chi può dirlo? L’Italia del Nord è come la Siberia. Pensiamo al treno. C’è un Tgv alle 20.30 da Bercy. Sono le 19 e ci vogliono almeno due ore per recuperare le valigie. Depresse ripassiamo il controllo di frontiera, sempre senza stivali. Un impiegato dell’Alitalia gentilissimo dice: «Dovreste partire alle 22, eccovi i buoni per un sandwich». Ci siamo appena sistemate in una postazione Internet poco lontana dal gate per ricaricare il telefonino, quando lo stesso impiegato viene a chiamarci: «Correte a imbarcarvi, non possiamo garantire il pasto a bordo però abbiamo trovato uno slot». Passeremo quattro ore sull’aereo in pista. E gli altri meno previdenti passeranno tutto il tempo a lamentarsi per la fame. A mezzanotte ci sbarcano: tutti tranne il signore che fa le nostre pratiche. Ci mette su due voli diversi del mattino dopo e poi trova una sola camera e quando gli diciamo che intendiamo dividerla, non vuole sentire ragione. Discutiamo fino all’esaurimento e quando finalmente riusciamo a fargli cambiare idea, gli altri passeggeri sono spariti. Restiamo solo noi, un simpatico ragazzo con gli occhiali e una signora di Roma. All’una e mezzo del mattino c’imbarcano su un taxi che parte nella notte diretto all’hotel Santa Fè. «Dove si trova?» chiede Ariela al taxista. «A Eurodisney» risponde lui chiudendosi poi in un offeso mutismo quando il ragazzo commenta: «Vedrete che viene ad accoglierci Topolino». Ridiamo per non piangere.
Arriviamo in albergo alle tre di notte e ci mettiamo parecchio a trovare la nostra stanza in un surreale complesso da mille camere. La sveglia suonerà alle 5 del mattino. Senza Ariela starei ancora dormendo in quell’incubo di cartongesso. Torniamo in aeroporto, riusciamo a cambiare il volo di Ariela e ci accampiamo con gli altri pellegrini davanti al nostro gate, più freddo ancora di quello del giorno prima. Tutti chiedono se a Milano nevica ancora. Enormemente, rispondono i francesi. Però verso le nove ci fanno salire sull’aereo. E decolliamo. In volo il comandante annuncia che siamo sopra Torino. Penso «Sono a casa» e scivolo nel sonno. Mi sveglia la hostess perché stiamo atterrando. «Ce l’abbiamo fatta» dico ad Ariela che esasperata commenta: «Manco per idea, abbiamo dovuto dirottare su Roma». Adesso basta, recuperate le valigie corriamo alla Stazione Termini: ci sono Eurostar ogni ora e di sicuro partono. La stazione Termini è presa d’assalto. Entriamo in un ristorante, ma alle 16 decidiamo di muoverci. Non possiamo rimanere fino all’ora prevista per la partenza: le 18.30 secondo il cartellone. Usciamo, siamo davanti al binario 3 e c’è un Eurostar. Decidiamo di salirci senza sapere che è quello delle 16.30, il nostro. Stiamo ancora cercando due posti di fortuna quando il treno si muove annunciando che siamo partiti con tre minuti di ritardo. Sono le 16.33, i conti tornano e forse anche noi. Dopo Bologna il paesaggio comincia a imbiancare, ma non sembra drammatico. A Piacenza nevica un po’. A Lodi fiocca che è una meraviglia.

Ma il treno corre, per fortuna. A 200 metri da Milano si ferma. Sono le 21. Entriamo in stazione alle 22.30. Un incubo. Entro in casa verso mezzanotte. Se qualcuno mi dice beata te che vai a Parigi per le sfilate, giuro che lo strangolo.

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