«Sono stati giorni impegnativi. Putin mi diceva: parla con Bush. E Bush mi diceva: parla con Putin. Alla fine abbiamo ottenuto un risultato importante». Silvio Berlusconi tira il fiato (per modo di dire): la fase più acuta della crisi in Georgia sembra superata, Sarkozy lo ha appena chiamato per ringraziarlo per l’aiuto e a Villa Certosa il premier si appresta a festeggiare un Ferragosto in versione familiare. Non s'è ancora fatto vedere nemmeno al Bar del Molo, la sua gelateria preferita, a due passi dalla famosa piazzetta di Porto Rotondo. «Quest'anno il presidente non è ancora venuto», dice il proprietario. «Resta a giocare con i nipotini...». Luna park, superman e nascondino. Qualche gita in barca. Il telefono sempre a portata di mano. E, in una pausa, l'occasione per fare con il Giornale il bilancio dei primi 100 giorni di governo.
Il Newsweek ha definito i primi 100 giorni del governo Berlusconi «un miracolo». Ma ci sarà qualcosa che è andato storto. Mi dice le tre cose che per lei non hanno funzionato a dovere.
«Lasciamole indicare ai protagonisti dell’opposizione che sono degli specialisti in questa materia».
E se dovesse fare una classifica, quali sono i tre risultati ottenuti di cui va più orgoglioso?
«Abbiamo assunto la responsabilità di governo del Paese dopo due anni di colpevole inerzia delle sinistre. Il governo Prodi, nato senza alcun progetto per l’Italia e unito solo dalla contrapposizione nei nostri confronti, non ha costruito nulla di positivo, anzi ha cercato di smantellare le riforme che avevamo realizzato in cinque anni di buon governo. In meno di cento giorni abbiamo concretizzato molti impegni e restituito agli italiani la fiducia nelle istituzioni e nello Stato. Oggi c’è un governo che governa, che affronta con determinazione i problemi e che li risolve rapidamente. E accanto al governo un Parlamento che lavora intensamente, cinque giorni alla settimana. Questo è il primo risultato di cui sono orgoglioso. Abbiamo risposto alla domanda di governo degli italiani e abbiamo attenuato quel sentimento di sfiducia verso la politica che stava crescendo e che stava diffondendosi in maniera allarmante. Credo che gli italiani “sentano” che c’è in atto un vero cambiamento rispetto al governo della sinistra. Credo che avvertano chiaramente che questo governo è una garanzia per la loro libertà, che li garantisca davvero, che li tuteli davvero dall’oppressione burocratica, dall’oppressione fiscale, dall’oppressione giudiziaria».
E il secondo risultato?
«Un altro fatto importante è la soluzione dell’emergenza rifiuti in Campania. Non c’era nessuno disposto a scommettere sul nostro successo. Eppure oggi Napoli e la Campania non hanno più rifiuti in strada, dopo mesi in cui l’irresponsabilità del governo Prodi aveva trasformato una intera regione in una discarica a cielo aperto e aveva così prodotto il più grave danno di immagine internazionale che mai l’Italia avesse subito».
Tutti hanno riconosciuto l’impresa partenopea. Ma ora, per renderla stabile, bisogna che la Campania diventi autosufficiente nello smaltimento: quando accadrà?
«La tragedia dei rifiuti è stata l’esito di quasi quindici anni di scelte contrarie alla logica e al buon senso, di inganni gravi perpetrati a danno dei cittadini in buona fede. Abbiamo trovato una situazione impensabile, un sistema distrutto, la mancanza della pur minima organizzazione di un sistema di raccolta e trasformazione dei rifiuti. Ora abbiamo fatto fronte all’emergenza. Tra poco metteremo in funzione il termovalorizzatore di Acerra e in pochi anni ne costruiremo uno per provincia. Intanto la raccolta differenziata diventerà la regola e non la meritevole eccezione».
Anche Bassolino le ha riconosciuto il successo. Ma non crede che per 14 anni di emergenza le autorità locali abbiano gravi responsabilità e debbano pagare politicamente?
«Credo che gli elettori della Campania saranno in grado di distinguere i meriti dalle responsabilità, di premiare chi ha meritato e punire chi invece ha fallito. È la regola della democrazia».
Manca ancora il terzo motivo d’orgoglio...
«Sì. Infine, e ne sono particolarmente fiero, sono stato il talent-scout di alcuni giovani ministri che stanno dando ottima prova di sé. È un cambiamento rivoluzionario in un sistema poco incline al cambiamento come quello della politica italiana».
Economia: abolizione dell’Ici, detassazione straordinari, interventi a favore dei poveri. Buona parte delle promesse fatte in campagna elettorale sono state mantenute. Ma mancano ancora il bonus bebè e il bollo auto. Lei ha idea di quando si potrà procedere?
«Avevamo garantito alcuni interventi immediati e li abbiamo realizzati. Altri obiettivi, come l’abolizione del bollo auto e l’introduzione del bonus-bebè, li abbiamo promessi per la seconda parte della legislatura, saranno attuati gradualmente e compatibilmente con le possibilità di bilancio, dopo aver riavviato la crescita dell’economia e rimesso in ordine i conti dello Stato. Non è cambiato nulla nei nostri programmi».
Nel Dpef non si prevede la riduzione della pressione fiscale nei prossimi tre anni. Come mai?
«Il Dpef è un documento che non tiene conto, come è ovvio che sia, delle riforme da approvare. Nel Dpef c’è scritto che, in mancanza di riforme che rendano la macchina dello Stato più efficiente e meno onerosa, le tasse non possono essere abbassate. Abbiamo spiegato in campagna elettorale la differenza tra l’Italia e altri Paesi europei: in Italia lo Stato costa ad ogni cittadino circa 4.500 euro all’anno; in Germania questo costo è di 3.000 euro. Ecco, questo deve essere il nostro obbiettivo, ridurre il costo della macchina pubblica per poter ridurre la pressione fiscale. Le riforme servono a questo. Il federalismo fiscale, che approveremo entro l’anno, servirà proprio a rendere più responsabili tutti gli amministratori pubblici, e così ridurre le spese dello Stato, delle Regioni e delle altre istituzioni locali e quindi poter ridurre le imposte sulle famiglie e sulle imprese».
Per abbassare le tasse bisogna procedere con tagli rigorosi. Dopo aver esaminato i conti dello Stato, dov’è che si può cominciare a risparmiare di più?
«Esistono sprechi e inefficienze ad ogni livello. Esistono risorse che vengono spese per iniziative che non fanno parte dei compiti delle istituzioni pubbliche, esistono sacche di privilegio e inefficienza che vanno combattute con determinazione».
Intanto la lotta ai fannulloni comincia a dare i primi risultati. Continuerete su questa strada?
«Certamente. La riorganizzazione, la digitalizzazione e l’ammodernamento della pubblica amministrazione che il ministro Brunetta sta perseguendo è una delle missioni più importanti del nostro programma di governo».
Manovra e Finanziaria varate in luglio è una grande novità per l’Italia. È la prima volta che accade. Ma perché lo fate? Perché gli italiani sono più distratti o perché ne avranno un vantaggio?
«Perché l’equilibrio del bilancio dello Stato è un bene pubblico primario. Se i conti dello Stato non sono in ordine, le conseguenze le pagano tutti ma soprattutto le pagano i cittadini meno abbienti. Perché abbiamo voluto dare subito certezza ai mercati sulla stabilità dei nostri conti pubblici. Perché abbiamo voluto rispettare gli impegni che l’Italia aveva assunto con l’Europa sul conseguimento del pareggio di bilancio entro il 2012. Perché abbiamo voluto mettere fine a quel desolante spettacolo del Parlamento - da ottobre a dicembre - che si trasforma in un festival delle lobbies in un mercato degli emendamenti a caccia di piccoli interessi di “bottega elettorale”. Perché abbiamo voluto creare le condizioni affinché il Parlamento possa discutere e votare, nella seconda parte dell’anno, le altre riforme necessarie e indifferibili».
Con l’autunno libero dagli assalti alla diligenza della Finanziaria ci sarà tempo per le tre grandi riforme annunciate: federalismo fiscale, legge elettorale per le europee e riforma della giustizia. Quali saranno i principi cardine di quest’ultima?
«La giustizia è un servizio che lo Stato rende ai cittadini, alle famiglie e alle imprese; è lo strumento che rende effettivi i diritti ed i doveri sanciti dalle leggi. Una giustizia che non funziona è una giustizia che nega ai cittadini i loro diritti, che non sostiene lo sviluppo dell’economia (basti pensare al rispetto degli obblighi del debitore e all'incertezza che crea nei mercati), che rende aleatori i rapporti civili, che non dà ai cittadini sicurezza contro l’offensiva della criminalità. Una giustizia che si occupa solo di politica è una giustizia deviata dai suoi compiti istituzionali. Una giustizia che invade i campi che non le sono propri, è una giustizia deviata. Una giustizia esercitata in nome di un’ideologia o - peggio - di un disegno politico, è una giustizia deviata e non voglio aggiungere altro solo perché... è Ferragosto!».
Alla riforma della Giustizia sta lavorando il ministro Alfano. Qualcuno dice che, insieme con la Gelmini, è una delle migliori sorprese di questo governo. La squadra di governo le sta dando meno problemi rispetto al 2001?
«Angelino Alfano non è una sorpresa, e non lo sono neppure la Gelmini, la Carfagna, Raffaele Fitto e gli altri “giovani”. Nel governo con i ministri di esperienza e competenza ci sono questi giovani capaci, entusiasti, appassionati che si stanno mettendo in luce. Sono davvero soddisfatto del lavoro di ciascuno dei ministri. Così come voglio complimentarmi per il gran lavoro svolto con i parlamentari».
Anche con i deputati?
«Con tutti: deputati e senatori, nessuno escluso».
Nelle scorse settimane si è molto parlato del dialogo fra Bossi e la sinistra. Lei ha mai temuto che il saldo rapporto col Senatùr si potesse incrinare?
«Non l’ho mai temuto e continuo a non temerlo. Con Bossi ormai si è consolidato un rapporto di affetto, di amicizia, di fiducia che nessuno potrà scalfire».
E il suo dialogo con la sinistra? Veltroni dice che è fallito perché lei è stato irresponsabile. C’è possibilità di ricucire?
«Non è mia la responsabilità di aver portato in Parlamento con una non marginale pattuglia di parlamentari un nemico delle riforme e dello Stato di diritto come Antonio Di Pietro. E non sono certo io a dire un giorno che le riforme sono indispensabili e il giorno dopo impossibili».
Lei dialoga meglio con Veltroni o con D'Alema?
«Io dialogo con tutti, a condizione che vogliano impegnarsi per il bene del Paese e per realizzare quei cambiamenti che tutti ritengono indispensabili».
Veltroni dice che il berlusconismo è finito. Ma perché allora esiste ancora l’antiberlusconismo?
«Il 63,8 per cento degli italiani apprezza il nostro governo e il suo operato. Ma se i giornali di sinistra non continuassero con questo famigerato “antiberlusconismo” che cosa scriverebbero?».
Perché è fallito il progetto del Partito democratico? E che futuro vede a sinistra?
«Veltroni aveva tentato un gesto coraggioso: rompere con la tradizione antiliberale della sinistra e puntare alla costruzione di un partito in grado di concorrere al governo del Paese, rifuggendo le tentazioni di conquistare il potere attraverso vie antidemocratiche, come l’uso politico della giustizia o il rovesciamento in Parlamento delle scelte compiute dagli elettori. Abbiamo sperato che tutto il tatticismo della sinistra - che ha prodotto il ribaltone del 1995, la nascita del governo D’Alema nel 1998 (resa possibile dal voto determinante di deputati “acquisiti” dal centrodestra), il caravanserraglio chiamato Unione del 2006 - fossero stati gettati dietro le spalle. Invece il Partito democratico fa di tutto per smentire le volontà dichiarate al momento della sua nascita».
Il numero uno di Air France, Spinetta, ha dichiarato che per salvare Alitalia ci sarebbe voluto un esorcista: l’avete trovato?
«Abbiamo trovato un pool di imprenditori che crede nella possibilità dell’Italia di competere nel mondo con la forza e l’orgoglio di un Paese che fa parte del G8, altro che esorcista. L’Alitalia è stata una bandiera dell’Italia che rinasceva dopo la seconda guerra. La nuova Alitalia sarà la bandiera di un Paese che esce dal tunnel di una lunga crisi».
Ci lasci un’ultima domanda più lieve. Le ultime foto l’hanno mostrata in Sardegna e a Portofino con sua moglie Veronica. Noi abbiamo titolato «la bella estate di Silvio»: è tornato il sereno.
«In famiglia appunto. Con la serenità che mi deriva dalla consapevolezza di aver utilizzato al meglio in questi primi cento giorni di governo la responsabilità che mi hanno affidato gli italiani».
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