Stanco di essere «sorpassato» con mezzi scorretti dai colleghi ha preso carta e penna e ha scritto al magistrato. E lo scorso mese è stato interrogato da un maresciallo dei carabinieri. Il nostro interlocutore ha i capelli grigi, da anni fa l’impresario di pompe funebri in provincia ma non ha mai voluto abbassarsi ai soliti mezzucci per accaparrarsi i clienti. «In città da sempre gli infermieri sono a libro paga, ma la piaga è ormai diffusa in tutto il milanese».
E così lei si è rivolto alla magistratura
«Ero stanco di subire. Uno stillicidio di porte chiuse, piccoli soprusi e poi la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Tempo fa arrivano da me dei clienti che voglio cremare il loro congiunto. Li mando in comune a Milano per la “espressione di volontà”, un atto che non può essere delegato. Negli uffici comunali hanno trovato i rappresentanti di una società che se li sono presi sotto braccio».
E lei ha perso il contratto
«Appunto. La concorrenza è sempre più aggressiva e l’atteggiamento dei procacciatori è ormai da codice penale».
Per esempio?
«Un giorno mi chiamano dal San Raffaele dei conoscenti a cui era appena morto un parente. Disperati. L’infermiere gli stava creando una serie di difficoltà, tutte inventate: ci vogliono subito i vestiti, la cassa e quell’impresa non è autorizzata a operare a Milano».
Ma al maresciallo che l’ha interrogata cosa ha detto?
«Che l’andazzo è ormai sotto gli occhi di tutti. Vedo un giorno il mio concorrente arrivare con dei clienti. Con un po’ di delicatezza avvicino i congiunti per capire come sono andate le cose, sentendomi ripetere la solita solfa. L’addetto all’obitorio dell’ospedale del mio paese appena li ha visti ha spiegato che non si preoccupassero, l’impresa l’aveva già chiamata lui».
Una pratica diffusa ormai anche in provincia?
«In tutta la regione. A Varese, sempre chiamato dai congiunti, vengo bloccato all’ingresso dall’infermiere: “Non può rimanere qui, deve andarsene”. Certo, non possiamo stazionare davanti agli obitori come avvoltoi, ma una volta chiamati sì».
E come è finita?
«Ho fatto firmare i documenti ai parenti al bar, scusandomi mille volte».
Ha mai provato a rivolgersi alle autorità sanitarie?
«Come no. Anche a Niguarda sono stato bloccato dal solito addetto prezzolato. Sono andato dal direttore sanitario che mi ha dato ragione. Sì, la ragione che si dà ai fessi».
È così rigido il controllo?
«A Milano, prima degli arresti del 2008, avevano fatto i “turni”: per una settimana tutti i morti di un ospedale spettavano a un’agenzia, la settima dopo a un’altra e via di seguito. Non solo, ma ci sono ditte che non hanno più bare o carri. Si limitano a “rivendere” i morti “comprati” dagli infermieri».
Ma così ci sono ben due intermediari da pagare.
«Che problema c’è? Tanto tutto viene messo in conto al cliente. Attenzione però, la situazione sta peggiorando.
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