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Parma, l’isola felice che non conosce crisi

nostro inviato a Parma

Entri a Parma e ti sembra di tornare indietro nel tempo, nell’Italia di un paio di anni fa, che non immaginava nemmeno cosa fosse la crisi; un’Italia certo non priva di problemi, ma agiata, spensierata, fiduciosa. Parma è rimasta così, un’isola felice, appena lambita dalla più grave recessione del dopoguerra. Osservi i volti distesi dei suoi abitanti di ritorno dalle vacanze, orecchi i loro discorsi nei ristoranti: nessuno teme l’autunno nero, pochi parlano di licenziamenti e sacrifici, se non nel settore immobiliare, che anche qui era cresciuto a dismisura, e si è ridimensionato da quando le banche hanno stretto i cordoni del credito.
Ma Parma non è Miami, né una città della Costa del Sol, che hanno basato il proprio sviluppo sulle costruzioni residenziali e commerciali; qui il settore trainante è quello di sempre, l’agroalimentare, che dà pochi brividi agli operatori di Borsa, ma molte certezze a chi vi lavora. Le cifre ufficiali parlano chiaro: la produzione è cresciuta dello 0,9%, la disoccupazione è stabile, gli investimenti sono pari al 6% del fatturato. Un settore anticiclico e votato all’esportazione.
In tempi di crisi la gente rinuncia a certi capi di abbigliamento, tiene più a lungo l’auto, ma continua a spendere per nutrirsi. Magari acquista prodotti confezionati anziché freschi e i meno abbienti sanno che comprando un pacchetto di spaghetti da meno di un euro si può sfamare la famiglia. Questo spiega perché giganti da grande distribuzione, come la rinata Parmalat e Barilla, continuino a brillare. Barilla, in particolare, ha rafforzato la leadership mondiale nella pasta, aumentando le vendite persino negli Usa. In Italia non ha licenziato, non ha messo nessuno in cassa integrazione e non intende farlo.
Un successo che, però, è meno scontato di quanto si pensi. «Il mercato ti punisce rapidamente se sbagli - ricorda Cesare Azzali, direttore dell’Unione parmense degli industriali - e sebbene i prodotti siano gli stessi da anni, la aziende migliori sono quelle che hanno investito cifre importanti per perfezionare la conservazione del prodotto, l’igiene, i servizi, rinnovare gli impianti, adeguando l’offerta alle necessità del cliente moderno». Ad esempio: oggi tutto viene proposto in vaschetta, mentre un tempo i salumi si vendevano a pezzo. Il cambiamento va intuito, cercato e assecondato per tempo. A Parma ne sono stati capaci.
Persino l’industria dei macchinari alimentari ha retto il colpo, «perché i Paesi in via di sviluppo privilegiano gli investimenti in questo settore rispetto ad altri, per necessità», precisa Azzali, e dunque il calo degli ordini è stato di gran lunga inferiore rispetto alla meccanica in Italia.
Dall’Autosole vedi gli stabilimenti della Barilla, ma quando lasci le arterie principali e imbocchi le vie di campagna scopri realtà completamente diverse, eppure prospere, come quelle del prosciutto di Parma e del parmigiano reggiano. «Anni fa multinazionali come la Nestlé e la Kraft hanno tentato di conquistare questi mercati: sono usciti con le ossa rotte», spiega Ugo Sancassiani ricevendoci nel suo salumificio, l’Airone, a Traversetolo. Una bella storia, la sua. Sassuolese di nascita, per una decina d’anni ha servito lo Stato italiano, poi ha deciso di cambiare vita. L’Airone era in difficoltà, ne ha rilevato il 50%, poi il 100% trasformandolo in un’impresa di successo. Con sette dipendenti, produce 70mila prosciutti l’anno tra quelli di Parma e il culatello.
«La nostra non è una formula, ma un’interpretazione pezzo per pezzo», spiega Sancassiani, 43 anni, e camminando con lui nello stabilimento capisci che cosa intenda: la lavorazione viene svolta ancora a mano. Ti mostra come avviene il taglio, la salatura, la stagionatura, come e perché vengono scartate le carni, in che modo verifica il prodotto finale prima di sottoporlo agli esperti del Consorzio prosciutto di Parma per la marchiatura.
Ci vogliono 14 mesi prima che un prosciutto venga messo sul mercato e i margini non sono enormi. Sancassiani, come tanti piccoli produttori, lo fa soprattutto per passione. E continua a investire, anche in questo 2009, ben due milioni di euro per allargare lo stabilimento, pari a un terzo del fatturato annuale; una cifra considerevole. Ma ci crede, dà tutto se stesso, per migliorarsi. Sempre.
Belle storie di cui questa terra è ricca. E non solo nell’alimentare. Va bene il farmaceutico, nascono le prime iniziative nel campo delle biotecnologie, si festeggiano i dieci anni di Buongiorno, fondata quasi per gioco da Mauro del Rio, che inviava ogni mattina un’e-mail per iniziare bene la giornata. Oggi è una multinazionale leader nei contenuti per telefoni cellulari: gadget, suonerie, wall paper. È quotata in Borsa, produce circa 300 milioni di ricavi, realizzati al 90% all’estero, ha oltre mille dipendenti, di cui 188 in Italia.

Un colosso che nel 2009 ha aumentato la profittabilità del 14%, partendo da Parma, la città dove la crisi non è mai arrivata.

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