Parmalat, Lactalis esce allo scoperto con l’11%

Nuovo attacco dei francesi al capitalismo italiano: dopo il fallimento delle mire di Groupama su Fonsai e lo stallo di Edf su Edison, è il colosso Lactalis a partire alla conquista di Parmalat con l’appoggio di SocGen. Il gruppo transalpino, forte di 10 miliardi di fatturato in tutto il mondo, ha ufficializzato di possedere l’11,42% di Collecchio, che supera il 14% considerando che al 7,28% diretto si affianca un equity swap (sempre costruito da SocGen) su un altro 7%, già esercitato per il 4,14%.
Una dichiarazione di guerra, corroborata dal fatto che Lactalis ha messo in chiaro di voler diventare l’azionista «industriale di riferimento» di Parmalat. Non solo Parigi è pronta a crescere ancora, senza però superare la soglia del 30%, limite oltre il quale scatterebbe l’Opa obbligatoria. L’invito potrebbe essere rivolto ai fondi esteri Skagen-Mackenzie-Zenit (15,3% del capitale). Ma questi hanno di recente smentito qualsiasi trattativa con Parigi e autorevoli fonti, nella serata di ieri, indicavano i francesi di Lactalis «al polo opposto» rispetto ai fondi, che puntano sull’italianità. Nei piani dei francesi la conquista di Parmalat deve comunque consumarsi senza offrire ai piccoli azionisti alcuna opportunità, così come voleva fare Groupama con il gruppo Ligresti prima di ricevere lo stop della Consob. L’attacco di Lactalis diventa realtà al termine di una giornata irreale in Borsa, dove Parmalat ha strappato al rialzo fino al 10%, per poi sgonfiarsi e chiudere a 2,5 euro (+0,8%) tra scambi pari al 9,8% del capitale. Un volume enorme, soprattutto se sommato al 10% di martedì e mercoledì. Il primo terreno di scontro è il rinnovo del consiglio di Parmalat (i termini per la presentazione delle liste scadono questo pomeriggio alle ore 18): ci saranno la squadra di Lactalis (che sembra pronta a salvare Bondi), quella dei fondi esteri che sono invece intenzionati a licenziare l’ad, i candidati di Intesa e quelli di Assogestioni.
L’unica risposta industriale italiana è quindi al momento quella di Ca de’ Sass. La superbanca vorrebbe assicurarne la «continuità» della gestione, facendo in modo che Bondi rimanga nel board (magari come presidente). Da tutelare, infatti, non c’è solo la storia del gruppo agroalimentare ma l’intera filiera del latte. Un aspetto molto sentito nei palazzi politici italiani, dove il ministro per lo Sviluppo economico, Paolo Romani si è detto «molto favorevole» a una cordata italiana. Stando ai numeri, la difesa di Ca de’ Sass (cui fa capo il 2,4%) appare però disperata visto che la composizione del cda dipende da un criterio proporzionale. A meno che, da qui al primo di aprile (termine ultimo per rastrellare le azioni e votare) non prenda corpo una cordata di «interesse nazionale», magari con qualche Fondazione. Al momento solo Granarolo ha aperto a un interesse, mentre nicchiano gli altri potenziali protagonisti e la stessa Mediobanca (titolare dell’1,9%) sembra disposta a muovere solo in presenza di un progetto serio.
Lactalis rivendica comunque un progetto industriale e proprio per questo di voler evitare l’Opa.

Il gruppo della famiglia Besnier - già presente in Italia da 14 anni con i marchi Galbani, Locatelli, Invernizzi e Cademartori - aggiunge che punterebbe a fare in modo che entrambi i gruppi offrano una gamma completa di prodotti nelle industrie lattiero-casearie. In particolare «la capillare presenza di Lactalis a livello mondiale potrebbe rappresentare un volano di espansione per Parmalat», di cui i francesi valorizzerebbero i marchi.

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