La parola dei vigili genovesi vale più del codice della strada

La parola dei vigili genovesi vale più del codice della strada

La legge dice che multe hanno 90 giorni di tempo per «raggiungere» i cittadini. Le multe di Genova hanno una «loro» legge per fregarsene e sforare tranquillamente i tempi imposti dal nuovo codice della strada. La scoperta capita di farla a Franco Bampi, che è anche un genovese abbastanza noto, che è professore universitario, che è cultore delle radici e dell’idioma genovese, insomma, che potrebbe essere la figura ideale per rappresentare i suoi concittadini.
Il prof racconta la sua esperienza, iniziata il 20 ottobre scorso con una banale sosta vietata e con la conseguente, incontestabile multa da circa 40 euro. Multa che arriva a casa Bampi per posta, con raccomandata, il 28 febbraio. Calendario alla mano - non si scappa - fanno 130 giorni, ben 40 oltre il limite di legge. Se in Italia esiste ancora il diritto. la multa è carta straccia.
Invece no. Il verbale del Comune di Genova si autogiustifica in anticipo per il ritardo. Una piccola noticina, una postilla che in calce a un contratto farebbe sentir puzza di fregatura, spiega che per «data di notifica» non si deve intendere la «data di notifica», ma la data in cui il Comune ha consegnato alle Poste la lettera da recapitare. A scanso di equivoci, meglio dire subito che Franco Bampi quella multa l’ha pagata, dimostrando forse qualcosa in più del normale senso civico. «Ero in difetto, l’infrazione l’avevo commessa - spiega il prof - Al Matitone ci sono andato, ma per avere chiarimenti sulla norma».
Qui le sorprese non mancano. «Il vigile allo sportello è stato cortesissimo - garantisce Bampi - Ha controllato a terminale e mi ha detto che a loro quella raccomandata risulta consegnata alle Poste intorno al 15 dicembre 2010». Intorno? Intorno che significa? Significa innanzitutto che il pur cortese agente non era in grado di esibire alcuna attestazione che certificasse l’avvenuto deposito. Nessuna ricevuta. Anche ammesso che la «data di notifica» sia da intendersi alla maniera dei cantuné genovesi, che citano persino un’ordinanza della Corte Costituzionale del 2004, resta il fatto che la data di avvenuta consegna alle Poste non può essere indicata con il più o meno, come fosse il risultato di una radice quadrata.
La ricevuta di spedizione non c’è. Non c’è un qualcosa che dimostri come il timbro postale di spedizione sia «intorno» al 15 dicembre e cioè entro i 90 giorni di legge. Bisogna fidarsi della parola dei vigili, anche se sostengono che le Poste ci hanno messo «intorno» ai 75 giorni per recapitare, da Genova a Genova, il 28 febbraio una raccomandata che è stata consegnata ufficialmente «intorno» al 15 dicembre.
Ora, il cittadino Franco Bampi, che ama ricordare tutte le tasse indebitamente pagate dai genovesi ai Savoia, ha preferito chiuderla lì e versare l’obolo a Tursi. «Anche perché ormai il ricorso al giudice di pace costa la stessa cifra - aggiunge ritrovando un po’ dello spirto genuense - E se viene dato torto al cittadino, questo deve anche pagare le spese legali e processuali». Insomma, se il cittadino avesse la ventura di vedersi riconoscere le proprie ragioni, al massimo potrebbe pareggiare. Ma il rischio della sconfitta sarebbe a livello di una disfatta.
Ecco allora che Bampi si limita a rivolgere tre domande. «Perché la legge non obbliga il notificante a comunicare al cittadino le date certe della decorrenza e quella della consegna alle Poste? - inizia a snocciolare i quesiti - E poi, se il cittadino paga ben 10 euro di spese di notifica, è accettabile che chi deve notificare lo faccia con oltre due mesi di ritardo? Infine, se la notifica arrivasse dopo qualche anno, avrebbe senso pagare per un’infrazione di cui si è persa la memoria?». Tre domande senza risposta.

O forse con un’unica, desolante risposta: la legge, il nuovo codice della strada, avrebbe anche già dato risposte certe ai dubbi del cittadino, ma sembra che la postilla sul verbale della polizia municipale genovese valga di più. Caro Bampi, cari genovesi, a volte è meglio tenersi i dubbi, che scoprire certe verità.

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