Roma - Se domenica era stato il giorno del «la pianti», e fino alla settimana scorsa il tema era la permanenza del cofondatore nel perimetro del Pdl, da ieri è diventata posta in gioco persino la poltrona di presidente della Camera di Gianfranco Fini. Ne ha parlato direttamente Sandro Bondi, ministro e coordinatore nazionale del partito di maggioranza, che ha letto l’ultima uscita di Fini (l’auspicio che gli indagati lascino gli incarichi nel Pdl), come una provocazione. «Credo che non ci siano precedenti in Italia di interventi così marcati e ripetuti nel dibattito politico da parte di chi ricopre il ruolo di presidente della Camera». La rinuncia alla presidenza di Montecitorio, non è più nemmeno una strategia finalizzata a fare restare Fini nel partito, come aveva auspicato l’ex An Ignazio La Russa che aveva parlato di un possibile ruolo di Fini nel governo. Ieri l’ex colonnello ha incassato un netto rifiuto dal finiano Italo Bocchino («Fini lo vedrei bene alla Difesa»), che La Russa ha interpretato come una chiusura definitiva: «Sono disilluso: pare che ci sia la gara a stringere ogni spiraglio». Sull’altro fronte, anche il ministro Andrea Ronchi ha provato a stemperare il clima, invitando i due schieramenti a «lasciare a casa i bombardieri».
Ma tutti sembrano prendere atto della rottura e le parole di Fini vengono contestate nel merito. Non dirà nulla il premier Silvio Berlusconi, che ieri ha detto no a qualsiasi commento con un comunicato ufficiale di Palazzo Chigi. Il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto, ha invece spiegato che «un partito garantista non può farsi definire gli organigrammi interni dagli interventi dei magistrati inquirenti senza attendere tutte le chiarificazioni processuali. Quando i pm di Napoli chiesero l’arresto dell’onorevole Bocchino - ha osservato Cicchitto - solidarizzammo con lui, e Fini condivise quella linea. Fortunatamente ci comportammo in quel modo, nessuno chiese le dimissioni dell’onorevole Bocchino che successivamente chiarì tutta la sua posizione. Se avessimo seguito una linea giustizialista avremmo commesso un gravissimo errore. Quello, però, che ebbe valore per Italo Bocchino deve valere per tutti».
Francesco Casoli, vicepresidente del gruppo Pdl al Senato, punta il faro su un’altra contraddizione: «Fini è un po’ confuso. Durante le elezioni regionali diceva che l’incarico non gli consentiva di partecipare a manifestazioni politiche. Ora esterna ogni giorno. Altro modo singolare di stare nel Pdl». Osvaldo Napoli spiega che «l’errore che commette Fini è di prospettiva. Chi è indagato deve dimettersi è un assunto vero in una condizione di funzionamento fisiologico della giustizia. Il che evidentemente non è».
Ancora più netto il portavoce del Pdl Daniele Capezzone che contesta alla radice la tesi «antigarantista» di Fini: «Sarebbe il trionfo dello schema dipietrista: basterebbe il fumo di un’inchiesta per buttare fuori gioco una qualunque figura politica». Un botta e risposta che sembra sempre più quello tra maggioranza e dell’opposizione e sempre meno liti di partito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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