Guerra Libia

La partita per difendere gli interessi dell'Italia

Una bomba demografica è pronta a esplodere alle nostre porte. È una potenziale catastrofe. Gheddafi non è un alleato comodo, certo. Però s’era impegnato a fermare i migliaia di africani che arrivavano sulla costa libica e da lì cercavano di imbarcarsi

Prepariamoci tutti. La Li­bia che esplode è qualcosa che ci riguarda più da vicino di quanto accada per l’Egitto. Lo dice la nostra storia e lo di­ce il nostro presente. Quan­do sarà definitiva, l’implosio­ne del regime di Gheddafi avrà conseguenze diverse e per molti versi non prevedibi­li. Ieri le nostre Forze Armate hanno deciso di allertare le basi dell’aeronautica da cui partono i caccia che hanno il compito di intercettare veli­voli entrati senza autorizza­zione nello spazio aereo na­zionale. C’è tensione, c’è paura, c’è ansia, inutile nasconderlo. Ci sono interessi economici, po­litici, sociali. C’è tutto ciò che ha fatto anni di relazioni inter­nazionali delicate e che adesso viene messo in discussione. C’è un equilibrio fragile e ora vicinissimo al punto di rottura. C’è il caos, alle porte. E il caos in Libia significherebbe un disastro per l’Europa.

L’America non vede l’ora che Gheddafi cada, l’Ue aspetta, condanna le violenze del regime contro i manifestanti e poi non sa che fare. L’Italia sa di non poter contare sull’aiuto di Bruxelles. L’ha visto con la Tunisia e non può sperare che le cose cambino. L’opposizione ha accusato il governo, perché solo il nostro Paese funziona così: l’interesse di parte, prima di quello nazionale. Hanno attaccato il premier Berlusconi per non aver parlato e per essere stato sempre troppo poco ostile con Gheddafi. Hanno lasciato credere che l’Italia stesse dalla parte dei regimi dittatoriali. Facile no? L’equazione: non parli, sei connivente. Solo che in diplomazia e in politica estera non sempre due più due fa quattro. Una dichiarazione avventata avrebbe messo a rischio la vita di migliaia di italiani che lavorano in Libia, avrebbe potuto danneggiare gli interessi di molte aziende italiane che lavorano a Tripoli, avrebbe danneggiato noi e non Gheddafi. E un premier deve pensareall’interesse della sua gente, delle sue imprese, del suo Paese, non alle polemiche da circo mediatico, non alle accuse personali, non alla campagna elettorale permanente dei suoi nemici.

Ieri Berlusconi ha parlato: ha criticato l’uso della violenza contro i manifestanti, poi ha ricordato che si deve evitare che la crisi sfoci in guerra civile. È fondamentale, ha detto. Fondamentale lo è per tutti e tra tutti lo è per noi. Forse non è chiaro fino in fondo il perché l’Italia ha lavorato per anni per mantenere un rapporto civile e collaborativo con la Libia: è da lì che sono partite le ondate migratorie verso il nostro Paese, ed è da lì che si aprirebbe un varco libero per imbarcarsi a migliaia in direzione dell’Italia.

È una bomba demografica pronta a esplodere alle nostre porte. È una potenziale catastrofe. Gheddafi non è un alleato comodo, certo. Però s’era impegnato a fermare i migliaia di africani che arrivavano sulla costa libica e da lì cercavano di imbarcarsi: gente del Sudan, del Ciad, del Niger, della Nigeria. Tanti, tantissimi, quanti nessun Paese potrebbe umanamente ospitarne. Senza il regime, esultiamo per l’arrivo della democrazia e poi preghiamo che arrivi presto un nuovo governo e che questo nuovo governo sia pronto a confermare la chiusura delle frontiere in direzione Europa. Preghiamo, sì.

Perché l’Europa non sarebbe altro che l’Italia.

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