La partita del Senatùr contro il Fli filo sudista

RomaQuel che ha convinto Bossi che il voto è l’unica strada percorribile, non è stato tanto l’attacco di Fini a Berlusconi, messo abbastanza in conto (non con quei toni, però), quanto l’apertura violenta di un fronte anti-Nord, con le battute sulla Padania e il federalismo «non solidale» del Carroccio. I sospetti peggiori si sono concretizzati vedendo nascere a Mirabello quel partito del Sud, dell’assistenzialismo e della spesa pubblica, candidato al podio di partito più odiato dalla base leghista, ben davanti al pur non amato Casini. La prosecuzione della legislatura e degli ultimi passi del federalismo fiscale sotto il ricatto costante dei finiani e del presidente della Camera, è diventata d’un tratto un’ipotesi molto meno credibile per la Lega, dopo l’outing meridionalista del leader di Fli. L’appello di Fini al dibattito in Parlamento su come attuare il federalismo, sui costi standard che la cui definizione «non può non essere discussa, come si deve discutere dei tempi del federalismo o di cosa voglia dire fondo perequativo», per la Lega vuol dire, al di là della retorica da bravo oratore, solo una cosa: ai finiani il federalismo non interessa affatto, anzi l’interesse di Bocchino, Briguglio & Company è quello di affossarlo. Lo dice chiaramente il governatore Luca Zaia, che dal Veneto può permettersi parole più chiare di quanto non possano fare i ministri «romani» della Lega: «Delegare il Parlamento ad accordi su singoli provvedimenti (del federalismo, ndr) significa andare alla paralisi», allora è meglio andare alle subito urne dalle quali «la coalizione governativa guidata da Bossi e Berlusconi avrà poi sicuramente ragione».
Solo il voto, concordano tutti nel Carroccio, può a questo punto chiarire un quadro ormai troppo simile ad un «pantano», parola che Bossi sta ripetendo spesso per mandare un messaggio chiaro al suo elettorato: dipendesse da noi si voterebbe domattina, ma bisogna vedere cosa dice Berlusconi e poi Napolitano, abbiate pazienza... Il periodo buono per le elezioni è l’autunno, entro dicembre massimo, perché «c’è una finestra per l’economia tranquilla, la situazione è ferma» (spiega Bossi), e poi perché la Lega nel breve termine massimizzerebbe le difficoltà del Pdl prendendo i voti degli eventuali delusi, puntando così al record storico dell’oltre 11% nazionale.
Ecco spiegato l’attivismo mediatico del segretario federale e di colonnelli importanti come Roberto Maroni. Non perché «il governo è in mano a Bossi», come dice l’Udc, ma perché è soprattutto la Lega a nutrire un forte scetticismo per ogni rattoppo dello strappo finiano.

L’incontro col Colle, verso cui Bossi spinge, non sarà certamente solo l’occasione per chiedergli di «spostare» Fini, ma anche un modo per sondare il terreno e le intenzioni del Colle circa il modo per uscire dalla crisi della maggioranza. Il segretario federale sarà fermo su un punto: il nostro popolo non accetterebbe maggioranze diverse da quelle uscite dalle urne nel 2008.

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