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Il partito degli affari

La «questione morale» irrompe nel congresso del Pd. Ci aveva provato maldestramente Ignazio Marino il giorno dopo l’arresto dello stupratore di Roma, Luca Bianchini, dirigente di sezione del Pd. Fu un tentativo ridicolo che provocò scandalo e costrinse il senatore ad una rapida marcia indietro. In verità appena pochi giorni dopo fu lo stesso Marino ad essere coinvolto in una brutta storia. L’università di Pittsburgh l’accusò di aver falsificato alcune note spese e il candidato alla segreteria del Pd, dopo aver gridato al complotto, ammise le irregolarità. Ora tocca alla bufera pugliese che vede coinvolti tutti i partiti di centro-sinistra, fra cui il Pd, in una brutta storia di tangenti e di mafia, e di escort, per forniture sanitarie.
L’ultimo anno ha visto diverse organizzazioni e molti dirigenti del Pd messi sotto tiro dalla magistratura. Il record delle inchieste spetta a due regioni. In primo luogo alla Campania dove Antonio Bassolino è stato inquisito per il ciclo dei rifiuti. Sempre in Campania è sotto inchiesta la sindaca Rosa Russo Iervolino e un’indagine riguarda anche la provincia di Salerno. L’altra regione record del presunto malaffare è la Calabria, dove la giunta Loiero è da tempo sotto i riflettori dei magistrati e l’uomo forte del Pd, l’ex segretario regionale Nicola Adamo, ha il suo gran daffare per tirarsi fuori da indagini che lo hanno lambito. Inchieste si stanno occupando della giunta regionale di centro-sinistra della Basilicata. Un’inchiesta ha travolto la giunta regionale abruzzese e il povero Del Turco. Risalendo la penisola troviamo gli avvisi di garanzia all’ex assessore della giunta Domenici di Firenze, Graziano Cioni mentre ad Ancona il 4 febbraio un’indagine toccò il sindaco Sturani che non è stato più ripresentato nelle recenti amministrative. Questi sono i casi maggiori poi vi sono numerosi piccoli episodi locali.
In questo quadro cade fragorosamente l’indagine pugliese. Qui il salto di qualità è straordinario. L’intero sistema politico del centro-sinistra è sotto indagine su una materia, la Sanità, che era stata fatta oggetto di una dura polemica di Vendola contro la giunta Fitto e contro Fitto medesimo quando gli capitò di finire sotto i riflettori di un’altra inchiesta giudiziaria. Il «caso pugliese» differisce dagli altri perché il sospetto degli inquirenti è che non ci si trovi di fronte ad un certo numero di «mariuoli» ma al cospetto di un vero sistema di potere che collega uomini politici, personaggi degli enti erogatori e imprenditori scaltri. L’indagine riguarda gli ultimi quattro anni della giunta regionale, praticamente dall’inizio della legislatura.
Di fronte a tutto questo i candidati alla segreteria del Pd tacciono, in attesa che passi «’a nuttata». Eppure «’a nuttata» sarà lunga da passare perché gli scandali, al di là delle responsabilità personali da accertare, indicano che nel Sud, ma anche in molte realtà del Centro-Nord, il Pd ha subìto una vera mutazione genetica. In molte realtà i gruppi dirigenti non sono più selezionati attraverso la pratica antica della cooptazione. Per fare il dirigente devi pagare. Nei vecchi partiti i leader sceglievano i propri luogotenenti, a cui affidavano il compito di controllare il consenso, attraverso l’uso della clientela. Ora la cooptazione fa prevalere altre priorità. Il dirigente periferico che vuole emergere deve dimostrare di essere in grado di procurare quattrini, di saper navigare nelle acque dello stagno in cui affari e politica si incrociano.
La politica è costosa e chiunque si immetta nel circuito politico deve avere una propria autonomia finanziaria e sarà tanto più apprezzato dai vertici locali e da quelli nazionali quanto più sarà in grado di essere autosufficiente nell’organizzare iniziative che non cadano sul bilancio del partito. In ogni realtà c’è un uomo forte che è in grado di organizzare una festa, una cena di centinaia di persone, di stampare manifesti e materiale elettorale che saranno pagati da imprenditori compiacenti. Si racconta anche di note spese di sartoria che finiscono nei bilanci di alcune aziende. Si crea così una sorta di catena fra questi «found riser» locali e quelli che controllano il partito a livello comunale, provinciale e nazionale. È una struttura affaristica che è diventata la vera ossatura del partito «leggero».
Un tempo c’erano i vecchi amministratori che sulle tessere e sulle feste dell’Unità costruivano il tesoretto che serviva alla politica. Oggi questo nuovo tesoretto non sempre va nelle casse di partito ma finisce nelle diverse associazioni dirette spesso da parlamentari o ex parlamentari. Ma questa raccolta di fondi non si esaurisce nella richiesta di denaro ai «compagni benestanti», ma deve dar vita a una vera e propria impresa politico-economica. Qui nascono l’affare e l’affarismo. Qui il giovane dirigente ambizioso in grado di sostenere le spese della propria organizzazione e della propria campagna elettorale scopre che c’è un appalto che può favorire un amico generoso. Nel Sud questo appalto il più delle volte riguarda il mondo della Sanità. A questo punto c’è il salto di qualità, l’ingresso nel cenacolo dei potenti, la proiezione nel ruolo nazionale.

È un reticolo di rapporti fittissimo, difficile da rompere, ma che soprattutto nessuno vuole rompere. Sarebbe interessante sapere dai candidati segretari del Pd se intendono fare qualcosa per spezzare questo intreccio affaristico. Nel Pd, almeno nel Sud, c’è una gigantesca «questione morale».

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