RomaI secondi fini di Fini si sussurrano da mesi nei corridoi del Palazzo: mollare il Pdl e farsi un partito tutto suo. Quando poi il vociare si tramuta in indiscrezione e finisce sulla prima pagina di un quotidiano nazionale senza provocare uno straccio di smentita, l’ipotesi da gassosa si fa solida. Sarebbe pronto anche il nome: un patriottico «Partito della Nazione» o un più generico «Partito dei cittadini», dopo aver creato nuovi gruppi parlamentari sia alla Camera sia al Senato. Un drappello di fedelissimi, alleati al Pdl certo, ma autonomi, con le mani libere specie in materia di giustizia, diritti civili, temi etici: campi sui quali la distanza con la maggioranza del partito nei mesi scorsi è parsa più evidente.
Non è mistero che né a Berlusconi né a Fini il partito, così com’è, non piaccia: troppe differenze tra gli «ex» che, nonostante gli elettori vogliano vedere insieme, continuano a guardarsi in cagnesco; troppe correnti, distinguo, sgambetti, accuse reciproche tra finiani e berluscones; troppe incomprensioni sanate all’ultimo momento con pranzi che invece di sancire delle paci consacrano sempre e soltanto delle tregue. Destinate a saltare. Che al presidente della Camera il Pdl di oggi non garbi lo ha detto anche l’altro giorno a Oristano: «Se mi chiedete se il partito mi piace così com’è adesso, la risposta credo l’abbiano capita tutti...». Più chiaro di così. E anche ieri, a Riccione per presentare il suo libro, «Il futuro della libertà», ripeteva che il Pdl «è in rodaggio, diamogli modo di sviluppare le sue potenzialità». La domanda è: Fini vuole davvero contribuire a macinare chilometri per mettere a punto la macchina del centrodestra o è intenzionato a scendere prima per correre al volante di un suo mezzo nuovo di zecca? Di sicuro questo non è il momento adatto per sbattere la porta: le elezioni regionali impongono nervi saldi, coesione e fronte comune contro il centrosinistra. Ma di qui a parlare di affiatamento e idem sentire nei confronti di Berlusconi ce ne corre: meglio, quindi, una sorta di convivenza forzata. Ecco perché, se si dovesse arrivare allo strappo definitivo, questo potrebbe consumarsi da aprile in poi ma non prima. E in quel momento, anche alla luce dei risultati delle elezioni, ci sarà il redde rationem con Berlusconi. Ad urne chiuse si affronteranno le diversità che ci sono e sono tante.
«Io il Pdl l’ho fondato, di certo non me ne vado, resto e dico quello che penso», ripeteva qualche giorno fa il presidente della Camera, attivissimo tuttavia nel mantenere contatti - guarda caso - con i centristi di Casini, con Pisanu e qualche malpancista berlusconiano ma anche con pezzi della sinistra. Sinistra che in più occasioni ha arruolato l’ex leader di An, tributandogli applausi talora scroscianti, in virtù delle sue posizioni non proprio sulla stessa lunghezza d’onda del Cavaliere. È stato così su temi etici, cittadinanza, giustizia, immigrazione, ruolo del Parlamento, poteri del governo: e la freddezza tra i due è arrivata a temperature polari facendo prevedere in più occasioni una lacerazione definitiva.
Altro tema rovente, su cui ieri Fini è tornato a mandare segnali inequivocabili, è quello dei rapporti con il Carroccio. L’asse Bossi-Berlusconi ha sempre irritato il presidente della Camera che anche ieri ha ribadito di aver «una grande considerazione nei confronti della Lega, che svolge molto bene il suo ruolo e il suo mestiere. Ha i suoi principi e li applica. Il problema - questa la stoccata finiana al suo partito - non è cosa fa o non fa la Lega, ma il Pdl, che è alleato della Lega». Alleato ma non fotocopia perché «applichiamo la regola di mercato: tra l’originale e la fotocopia cosa compra la gente? L’originale è meglio. Differenziamo tutto; dobbiamo differenziare non per il gusto di distinguerci ma per fare proposte che siano sintesi di diverse culture e ideologie».
Un colpo al Pdl: «Su certe questioni c’è una nostra scarsa capacità complessiva di elaborazione di proposte politiche e culturali» e uno al Carroccio: «Si parla di abolire progressivamente le Province, ma oggi la Lega è tra i più strenui difensori delle Province. Mentre si parla tanto di privatizzazioni, i difensori più strenui del tesoretto municipale sono proprio quelli del Carroccio».
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