Ormai ho quasi perso il conto del numero di volte in cui mi sono occupato della quotazione in Borsa di Fincantieri nelle ultime settimane. Ma se ci torno in continuazione è perchè ritengo che questa sia la partita della vita per Genova e per la Liguria. E non solo perchè stiamo parlando dellimpresa più importante con i suoi 3200 dipendenti diretti fra Genova, Riva Trigoso e Muggiano, a cui se ne aggiungono altrettanti nellindotto, con commissioni per quasi un miliardo di euro, la maggior parte dei quali in Liguria. E nemmeno perchè ritengo che scriverne sia decisivo per la quotazione in Borsa di Fincantieri. Quella ormai la diamo per acquisita: poi, certo, questi giorni non sono i migliori possibili immaginabili per entrare a piazza Affari ed è vero che, se non si fosse perso tempo nei mesi scorsi, la quotazione sarebbe già cosa fatta e ci sarebbe già stato laumento di capitale, con conseguente aumento della competitività del gioiellino italiano dei cantieri nei confronti del competitor più agguerrito, appena nato dal matrimonio fra i coreani di Stx e gli europei di Aker Yards.
Ma, appunto, questa serie di articoli, questa mia insistenza sul «caso Fincantieri» va oltre questioni occupazionali ed economiche. Se continuo a scriverne è perchè il «caso Fincantieri» è il «caso Genova» del 2008, lequivalente di quello che può essere stata la battaglia per la privatizzazione delle banchine fra DAlessandro e i camalli negli anni Ottanta.
Ecco, il DAlessandro di oggi è Giuseppe Bono, manager che è pure un calabrese bonario, un duro ma ragionevole. O, se si preferisce, un realista inflessibile. Quasi un ossimoro vivente, comunque un manager con i controfiocchi e anche i controqualcosaltro.
Contro il suo sogno, contro il piano industriale di un manager pubblico le cui colpe maggiori sono quelle di aver fatto macinare utili su utili alla sua società, si è schierato un partito trasversale. Un partito che, secondo me, fotografa bene una certa Genova, una certa Liguria. La Genova e la Liguria rispetto alla quale noi cerchiamo di proporre un modello diverso e radicalmente diverso, anche informativo. (...)