da Roma
La prima folgorante battuta sulla Festa viene da Enrico Lucherini, il principe dei press-agent. Aggirandosi finto smarrito di fronte all'Auditorium, chiede ai cronisti: «Ma dovè l'imbarcadero? Non lo trovo». Già, non siamo al Lido. Anche se a pochi metri di distanza, Davide Croff, il presidente della Biennale, sta rilasciando interviste alle tv. Elegante come sempre con i mocassini grigi. Insieme a Goffredo Bettini, patron della Festa rivale-amica, ha appena presentato la mostra di costumi originali tratti da L'ultimo imperatore. Ci sono la curatrice Giulia Mafai e Maurizio Scaparro, responsabile della Biennale teatro. Benché già esposta all'Arsenale, la mostra serve simbolicamente a promuovere la «pace» tra Venezia e Roma dopo le bollenti schermaglie degli ultimi mesi. Insomma, sarebbe il primo tassello di una collaborazione fattiva che mira «a fare sistema», perché, ripetono all'unisono Croff e Bettini, «la cultura deve moltiplicare e non dividere».
Intendiamoci, i costumi sono fastosi, l'allestimento è bello e il rinfresco particolarmente appetitoso. E però, al di là delle dichiarazioni di reciproca gratitudine, non si sfugge a una sensazione di fondo. Le due manifestazioni continuano a guardarsi con un certo sospetto. Scaparro insiste che «il nemico va cercato altrove, è il castello dell'ignoranza», mentre Roma e Venezia sarebbero «due tende dello stesso campo, due città inimitabili». Ma basta evocare il tema delle date romane, da tanti considerate troppo ravvicinate a quelle veneziane, perché Croff scandisca: «Certamente, una maggiore distanza aiuterebbe a dissipare possibili equivoci».
Per una «soluzione convergente» bisognerà aspettare il dopo-Festa, quando si aprirà un tavolo dei volonterosi nel tentativo di individuare possibili alternative. Ci sarebbero varie ipotesi (la Festa a novembre se Torino scivola verso dicembre, oppure addirittura una collocazione estiva), ma Bettini è il primo a frenare: «Tutti sono chiamati a fare un piccolo sacrificio, vedremo».
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