Passera alla sfida della banda larga

Passera alla sfida della banda larga

Quando ancora era amministratore delegato di Intesa Sanpaolo (azionista di Telco, la cassaforte che possiede la quota di maggioranza di Telecom Italia) la posizione di Corrado Passera sul fronte dello sviluppo della rete in fibra ottica o Ngn (New generation network), quella a banda ultralarga, era chiaro. In un’intervista al Wall Street Journal Passera sosteneva l’inutilità di una competizione tra operatori e la necessità di cooperare per lo sviluppo di una rete comune. Questa potrebbe essere ragionevolmente anche la posizione degli operatori. Peccato che nessuno voglia davvero mettere mano al portafoglio per coprire una spesa che, se effettuata in maniera capillare, eliminando il cosidetto «digital divide» e fornendo fibra ottica a tutti i cittadini italiani costerebbe tra i 10 e i 15 miliardi di euro. Un investimento enorme che potrebbe però anche creare grandi opportunità per far ripartire il Paese. Secondo studi recenti, infatti, ogni miliardo di investimenti in banda larga potrebbe generare un incremento in termini di pil fino a 1,5 miliardi. Una manna per il governo Monti e una grande sfida per Corrado Passera che ne fa parte in qualità di ministro dello Sviluppo Economico e dunque anche delle telecomunicazioni. Per il momento, però, nulla di concreto è stato fatto per riprendere il discorso interrotto sul fronte della rete Ngn dove alcune consultazioni tra governo e operatori erano state portate avanti dall’ex ministro Paolo Romani. Gli unici passi avanti sono stati fatti dall’Agcom. L’Authority per le tlc presiduta da Corrado Calabrò la scorsa settimana ha approntato una serie di regole per le reti in fibra ottica che risultano poco gradite dai concorrenti di Telecom. Inoltre manca ancora la parte più importante del regolamento, ossia i prezzi per l’uso della rete stessa. Qui sarà Telecom a presentare le sue offerte che potranno essere modificate dall’Agcom.Il governo per il momento resta a guardare. Passera avrebbe fatto capire che, se nelle grandi città le aziende di telefonia possono fare da sole, questo perché ci sarebbero rientri sicuri per gli investimenti, nelle aree dove non c’è questa possibilità l’esecutivo potrebbe intervenire. Lo Stato dispone infatti già di un’azienda, la Infratel, che potrebbe posare la fibra passiva nelle zone meno appetibili per le telco. Ad oggi, secondo l’Ue, siamo il Paese con la minor percentuale di connessioni veloci (dai 10 Megabit in su) sul totale di quelle attive. Per la banda larghissima infatti c’è solo l’offerta di Fastweb a 100 Megabit e quella di Telecom ma solo in poche città. Il risultato finale è che per la rete in fibra ottica manca un piano strategico di largo respiro. In questo contesto poco organizzato c’è anche Metroweb che fa capo al fondo F2i di Vito Gamberale. Rilevando Metroweb ovvero la più estesa rete metropolitana in fibra ottica in Europa, F2i vorrebbe diventare un polo aggregatore per le reti in fibra non solo a Milano ma anche in altre città. Anche in questo caso Passera dovrebbe essere bene informato. Il fondo infatti è partecipato da Cassa depositi e prestiti (al 70% del ministero dell’Economia) mentre Intesa Sanpaolo ha comperato una quota di Metroweb.

Ma se in Italia la banda larga passerà anche dalla telefonia mobile, dalle reti a tecnologia Lte, per le quali gli operatori hanno speso oltre 3 miliardi di euro, per garantire un futuro sviluppo del Paese e della banda larga, la voce del governo dovrà, speriamo presto, farsi sentire.

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