Paura e ansia dei 5mila lavoratori di fronte al mostro disoccupazione

Pomigliano d’ArcoLa paura adesso accomuna tutti i 5mila lavoratori Fiat di Pomigliano. Il giorno dopo il referendum (sì o no al piano Marchionne), in pochi hanno voglia di parlare ed esprimere una previsione sul futuro che li attende. Volti cupi, preoccupati, senza distinzione di appartenenza, Fim, Cisl o Fiom, Fismic o Cobas, si radunano davanti all’ingresso 2, anche se la grande fabbrica è ferma. Le catene di montaggio sono deserte, quasi tutti i dipendenti sono in cassa integrazione, la produzione resterà bloccata almeno fino a quando non dovessero arrivare richieste per l’Alfa 159. Oppure, come si spera, nonostante i non rassicuranti segnali che arrivano dal Lingotto, l’azienda confermi di portarvi la nuova Panda.
Trema anche l’indotto, altri 10mila lavoratori. Marco, 30 anni, lavora per la Fma di Avellino (fabbrica di motori). Lascia i cancelli accompagnato da padre e zio. «Adesso vediamo che cosa accade. Ma, ormai, quello che è fatto è fatto; dice. Ma, quando gli viene chiesto che cosa ha votato, Marco risponde senza esitazione: «Sì. Io al lavoro ci tengo ma, purtroppo, chi ha votato no, ha deciso anche per me. Il futuro per tutti noi è la Panda, speriamo che adesso l’azienda non si vendichi».
È mattina presto quando, davanti alla fermata della Circumvesuviana, che si trova proprio dirimpetto all’ingresso 2 della fabbrica, un gruppetto di operai discute sull’esito del voto. Sono gli stessi che la notte precedente quando i no avanzavano, avevano esultato, accennando trionfalisticamente, qualche nota di «Bella ciao». L’euforia manifestata qualche ora prima, sembra sparita. Qualcuno di loro si «stira» la maglietta azzurrina con la scritta «Pomigliano non si tocca», tirandola dai bordi, per il nervosismo. «E che devo dire? Certo che ho paura che qui si vada tutti a casa, ma rifarei quello che ho fatto altre cento volte. Sono figlio di operai: mio padre è stato qui 30 anni, adesso ci sono io. Mi ha ricordato le battaglie degli anni ’70, mica potevo rinnegarlo. E come me, hanno fatto tanti altri ragazzi», spiega Giuseppe, 28 anni, moglie e un figlio in arrivo.
L’ideologia prima di ogni altra cosa, sembra il filo rigorosamente rosso che accomuna i ragionamenti dei presenti, tutti con tessera Fiom. «L’accordo va ridiscusso con l’azienda ma, la Panda deve venire qui. A costo di fare le barricate, con la lotta conquisteremo i nostri diritti. La cassa integrazione non è piacevole, ma la disoccupazione è un mostro. Non è piacevole andare a dormire ogni sera con questo pensiero nella testa», spiega Arturo, 35 anni. Arrivano altri lavoratori, qualcuno fa tappa davanti l’ingresso, prima di recarsi in un vicino albergo dove è in programma l’intervento del segretario della Cisl, Raffaele Bonanni. Sono tutti Rsu della Fim. «Non abbiamo digerito la vittoria del sì meno ampia del previsto, che avrebbe spalancato le porte alla Panda», grida un iscritto. Più che rivelare il loro pensiero, questi ragazzi hanno qualcosa da dire ai loro compagni della Fiom. «Bravi, siete contenti? Adesso rischiamo di andare tutti a casa per la vostra ottusità ideologica», tuona uno di loro. «A voi, invece, va bene che l’azienda ci tratti tutti da schiavi e che non ci conceda nemmeno il diritto di ammalarci?», la replica. Tra i due interviene il segretario Fim Cisl, Michele Liberti: «La dichiarazione di Marchionne ci rassicura.

Ha detto che vuole portare avanti il progetto con i firmatari dell’intesa. Sono sicuro che Pomigliano produrrà la Panda del futuro'. Anche Gerardo Giannone (Rsu Fim) si dice ottimista. «La Panda la produrremo noi, anche se in tanti abbiamo ancora paura che questa speranza possa svanire».

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