Paura Kovalainen a 220 all’ora sul muro di gomme

Il pilota della McLaren esce illeso ma passa la notte in ospedale sotto controllo. I genitori impietriti davanti alla tv, poi il gesto tranquillizzante

nostro inviato

a Montmelò
Hanno fatto la tac. Alla ruota. La ruota McLaren finita in briciole al giro 22. Per capire il motivo del cedimento. Dunque, a fine gara, sotto i raggi c’erano lui, il pilota, quel poveretto di Heikki Kovalainen, poveretto fino ad un certo punto perché è vivo, integro, praticamente solo ammaccato dopo un botto che ha fatto tremare tutti. E sotto i raggi c’era lei, la ruota. «Strano si sia rotta – continuava a ripetere Ron Dennis, il patron del team anglo-tedesco – perché aveva percorso solo 14 km... forse è stata messa in crisi da un sassolino che l’ha incrinata...».
Forse. Perché lo scorso anno, in Germania, stesso cedimento e gran brutto incidente toccò a Hamilton, a cui seguì uguale motivazione: un sassolino. Forse. Nel paddock, fra i team rivali, c’è chi sorride pensando a questa possibile causa. Di certa c’è solo la sequenza dell’incidente: Kovalainen va largo la curva prima, finisce un po’ sull’erba (da qui l’ipotesi del sassolino, ndr), quindi imposta la curva dopo, piccola frenata e subito in accelerazione, 250 all’ora, 270. È un attimo, la macchina parte verso sinistra dritta contro il muro di gomme. Heikki ha solo il tempo di staccare le mani dal volante. Viene inghiottito dalle gomme. Silenzio. Ci vorranno dieci minuti per vederlo fuori dall’auto, in barella.
Un incubo per tutti, figuratevi per papà Seppo e mamma Sisko, in salotto nella loro casa finlandese, un salotto umile nonostante i milioni che il figlio inizia guadagnare. Sono rimasti lì, abbracciati e impietriti davanti al video, ad aspettare un segnale. E invece, ecco il telo blu ad oscurare le operazioni dei soccorritori, come per Senna, come per Schumi nove anni fa in Inghilterra. Minuti di paura vera, fino a che non hanno visto quella barella comparire e quel corpo steso sopra, integro e malconcio, ma con un filo di energia ancora: quella sufficiente per alzare un braccio e dire con i gesti «mamma, papà, sto bene, sono vivo, vi voglio bene, tornate a respirare».
In quel momento, la F1 da umana è tornata cinica e feroce. Di nuovo tutti a pensare ai secondi, ai pit stop, ai sorpassi. E pensare che poco prima, mentre ad ogni giro gli transitava accanto, Raikkonen guardava sperando di vedere l’amico venir fuori dal muro. Subito dopo il botto, non appena compreso che si trattava di una McLaren, Kimi aveva infatti chiesto di chi si trattasse. Se nel muro ci fosse stata qualsiasi altra monoposto, l’algido finnico non avrebbe perso la concentrazione del pilota, ma in McLaren c’era lui, Heikki, il suo unico amico nel Circus.
Giri incubo per lui e per tutti con la mente a Silverstone 1999, curva Stowe, quando Schumi ebbe uguale incidente (107 la velocità d’impatto allora, 220 quella di Kovalainen) e un muro di gomme se lo inghiottì. Gamba rotta fu il verdetto. E invece un sospiro di sollievo è stato il verdetto dei medici dell’Ospedale Generale di Catalunya, a Sant Cugat del Valles, dove il finlandese era stato trasportato in elicottero. La tac non ha riscontrato lesioni al cervello o traumi. Non ci sono ossa rotte. Insomma, «sta bene, notte in ospedale, vediamo, potrebbe correre in Turchia», dirà Ron Dennis. «Ero terrorizzato – si lascerà scappare Hamilton –, mi sconvolgeva passare di lì e vedere che era ancora là dentro e poi pensavo al mio incidente dello scorso anno... No, non ho mai temuto che potesse cedere anche la mia macchina».

Il gran capo Ferrari, Stefano Domenicali, in serata commenterà: «Anche a me ha ricordato l’incidente di Schumi a Silverstone. Sulla sicurezza non bisogna mai abbassare la guardia e, soprattutto, è meglio non pensare a che cosa può capitare se succede qualcosa d’imprevisto in rettilineo». Parole sante.

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