«La paura è il motore delle Borse. E del thriller»

da Mantova

Gli economisti lo hanno battezzato Fear Index (indice della paura) e con la sigla VIX, il «termometro» che monitora «la percezione del rischio finanziario sul mercato». Più gli investitori hanno paura, più tendono a vendere certe azioni, più il VIX sale. Da tempo il VIX è diventato una sorta di «sismografo delle Borse». Cosa potrebbe succedere se qualcuno inventasse un metodo per individuare in anticipo questo valore? Quanto potrebbe valere una scoperta del genere? Lo spiega il thriller L’indice della paura (Mondadori) di Robert Harris, dove il pluripremiato autore inglese di Fatherland, Ghostwriter, Enigma e Pompei ci offre una sconvolgente immagine del mercato finanziario internazionale. Ne è protagonista un ex studioso del Cern, Max Hoffman, che è riuscito a creare un algoritmo per ricalcolare in tempo reale «l’indice della paura» e lo usa come mezzo di investimento sul mercato. Per presentare in anteprima mondiale il romanzo Harris ha scelto il Festivaletteratura di Mantova dove sarà ospite oggi.
Com’è nata l’idea del libro?
«Tutto è iniziato una dozzina di anni fa, quando mi sono trovato fra le mani un libro di Bill Gates che raccontava la sua esperienza nel mondo del computer e i rapporti fra l’intelligenza umana e quella artificiale. Mi sono trovato così a scrivere un romanzo che tratta il tema della paura, una volta che mi sono accorto quanto il panico fosse intrinsecamente collegato con le nuove tecnologie e le nuove macchine. Oggi se uno parla di attacchi di panico con un esperto di economia o di computer questi gli risponderebbero che sono il loro pane quotidiano e che anzi la certezza della paura degli utenti, degli imprenditori e degli acquirenti dà una grande sicurezza a chi deve lavorare per loro perché li rende prevedibili».
Ma si aspettava di scrivere un libro così attuale, vista l’odierna crisi di mercato?
«Affatto. L’ho scritto in un anno e non mi sono mai sentito né Cassandra né Nostradamus. Volevo semplicemente scrivere un libro sui rapporti incontrollati fra l’intelligenza umana e quella artificiale, e per questo tutto il mio thriller è costellato di citazioni di testi di Charles Darwin e delle sue teorie circa la paura e l’evoluzione».
Anche lei però deve ammettere di essere diventato un titolo in Borsa quando si è saputo che stava scrivendo un’opera del genere?
«Non ci ho pensato. Però è vero che non avevo ancora finito di scrivere il sesto capitolo quando la Fox mi ha chiesto di poter opzionare i diritti cinematografici del romanzo. Quando poi mi hanno detto che volevano affidarlo al mio amico Paul Greengrass non potevo che essere contento del risultato. Adoro il suo modo di girare spy-stories come quelle del ciclo di Bourne. Sono contento che gli abbiano affidato il progetto».
Che immagine viene fuori della moderna società economica?
«Credo un’immagine singolare.

Tutti sono abituati a immaginarsi la fiction delle Borse internazionali come quella di un film tipo Wall Street di Oliver Stone, dove il fattore umano gioca ancora un ruolo preponderante. Io invece parlo di stanze piene di gelidi computer cui raramente hanno accesso gli esseri umani e che anzi sono governate a distanza da un algoritmo».

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