Corpo come veicolo dell'anima. Corpo come vestito, corpo come indirizzo. Il suo indirizzo corporeo è Pawel Althamer. La sua anima, forse, nella sua arte. Così l'uomo Pawel Althamer diventa scultura, il monumento di sé stesso, un enorme «pallone» all'ingresso dell'Arena Civica, ad aprire le porte alla sua grande mostra personale voluta dalla Fondazione Nicola Trussardi, One of Many, la prima in Italia, fino al 5 giugno alla Palazzina Appiani.
E proprio da questa grande scultura di sé stesso parte la ricerca dell'artista polacco, il più famoso e rispettato dell'Est europeo. «Althamer è il centro di ogni mio interesse - conferma Pawel Althamer -. Mi sembra un modo per registrare la mia presenza fisica nel mondo e anche il mio modo di confrontarmi con il mio lavoro di artista. È possibile che stando accanto a un oggetto inerte che mi rappresenta io riesca a sentire in maniera più chiara che sono vivo?».
Come per se stesso, anche nella sua arte l'uomo è al centro di tutto, ma scosso da paure ancestrali, tensioni sociali e visioni allucinate. Come uno sciamano, Althamer ha compiuto, attraverso rituali mistici e religiosi, un lungo percorso introspettivo per capire ogni sfaccettatura della condizione umana. Con le sue sculture, installazioni, performance e video, Althamer racconta un mondo popolato da piccoli eroi, personaggi marginali e fragili martiri. Dagli autoritratti realizzati con materiali organici - erba, foglie, intestini e pelli di animali - ai film in cui ha sperimentato su di sé il condizionamento dell'ipnosi e delle sostanze stupefacenti, le sue opere sono un racconto poetico sulla ricerca della propria identità. «Come in un esercizio di autoanalisi - conferma la fondazione - Althamer usa la propria arte per sperimentare il potere sconfinato dell'immaginazione e le infinite capacità della mente». Così realtà e finzione si mescolano e si confondono.
Per questo in una delle due performance presentate in mostra una scultura vivente - il suo sosia a 70 anni - gira per la Palazzina Appiani raccontando le opere. Per questo in Kosmonauta, rinchiuso in una tuta da astronauta, l'artista si avventura alla scoperta della Terra trasformata come per magia in un pianeta lontano. «In fondo sono solo di passaggio sulla Terra - dice - , giusto il tempo di una visita veloce, e non ho idea di dove finirà il mio viaggio. Se sono arrivato qui, però, è perché forse ho una missione da svolgere, dei compiti a cui assolvere».
Forse la missione di Althamer è ridare voce ai più deboli, combinando lavori spirituali e fiabeschi con sculture sociali e performance politiche che analizzano il ruolo della società nella trasformazione degli individui. Ecco allora diventare protagonisti dei suoi lavori bambini emarginati, disabili, malati di mente, alcolisti e barboni.
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