Cinzia Romani
da Roma
Mentre piovono bombe sulle elezioni in Iran, lIstituto Luce finanzia (soldi pubblici, dunque) la distribuzione dun film del persiano Babak Payami, che ha scritto, prodotto e diretto Silenzio tra due pensieri (da venerdì nelle sale). Preceduto dalla consueta storia di triboli e difficoltà - la pellicola era stata prima sequestrata, poi presentata a Venezia 2003, poi di nuovo sequestrata dalle autorità iraniane - il regista, noto per Il voto è segreto (Leone dargento per la migliore regia a Venezia 2001), ci serve un singolare prodotto. Narrando la storia paradossale di una giovane donna iraniana (Maryam Moghaddam) condannata a morte per una non precisata colpa. Poiché però la tradizione vieta di uccidere una vergine, la donna è costretta a sposare il suo futuro boia che dovrà giacere con lei e solo dopo procedere allesecuzione ordinata dall'autorità religiosa. E se il film fa capire che una vergine assassinata va dritta in Paradiso, ragion per cui i maschi del villaggio negano alla disgraziata orfana tale soddisfazione, tutto il resto sfugge alla comprensione. La storia si svolge in Afghanistan o in Iran? E perché il boia, capace di starsene a guardar la polvere del deserto per ore, pare un allievo di Wittgenstein, pronto a chiedersi: «Se tutte le risposte sono in quel libro (il Corano, probabilmente), ci devono essere anche le mie domande»? Ci pensa Babak da Teheran, versione fisica dilatata dellultimo Nietzsche irso-barbuto, così come ce lo tramandano alcuni ritratti, a spiegare il proprio lavoro. «Ci vuole coraggio a mostrare il film in queste condizioni. Voglio far conoscere certi problemi a gente che li ignora».
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