PAZIENZA PRECARIA

Al confronto la torre di Babele fu un luogo di sereni dibattiti. Con la manifestazione di ieri la maggioranza s’è sottoposta - dando esempio di raro sprezzo del pericolo - a una prova della verità. Ne è uscita distrutta - la maggioranza, non la verità - con tutti i sensori impazziti per le contraddizioni e le farneticazioni dei soggetti sottoposti all’esame. Massimo D’Alema, da molti ritenuto finora persona seria, ha dichiarato che s’è protestato in piazza «a favore del governo e non contro il governo». E lo stesso ha sostenuto il premier. Se correva voce di dissensi ne va fatta colpa ai giornali che seminano zizzania. Si vede che al ministro del Lavoro Damiano i consensi non piacciono perché ha espresso la sua amarezza. In effetti il cartello dei dimostranti «Damiano servo dei padroni, vattene» non pareva proprio encomiastico. Oltretutto, essendo stato il ministero del Lavoro sdoppiato nella prodiana moltiplicazione delle poltrone, il titolare della solidarietà sociale Ferrero se la prende con Damiano, imputandogli d’aver fatto poco per i precari. Ma esiste una terza interpretazione della radunata romana, e l’ha offerta il segretario di Rifondazione comunista Franco Giordano. Secondo questo discepolo di Bertinotti la piazza romana «non era né contro né a favore del governo», visto che il tema era la precarietà. Battuta analoga a quella d’uno che, tornato dal Canada e interrogato sulla temperatura di là, aveva risposto «né caldo né freddo, zero gradi».
Qualcuno vorrebbe prenderci per cretini, e attribuire un carattere neutrale e imparziale a un corteo - gremito di rappresentanti del governo - che bocciava il governo. I politologi risfodereranno la formula del partito di lotta e di governo cui era ricorso, per definire gli atteggiamenti del Pci, Enrico Berlinguer. Se vogliono così nobilitare storicamente il caos facciano pure: ma è un espediente al quale non crede nemmeno il direttore dell’Unità Antonio Padellaro. In un editoriale trasudante imbarazzo da ogni riga, Padellaro lascia intendere che così non si può andare avanti. Ammettiamo pure, osserva, che uno o cinque o dieci sottosegretari possano unirsi a una folla dalla quale partono salve di fischi contro il governo in carica. Ma Padellaro si chiede: «Cosa accadrà il giorno dopo nelle stanze del ministero del Lavoro o di quello dell’Economia o di quello dello Sviluppo, tra sottosegretari protestanti e ministri protestati? Questo è il problema cui non è facile sfuggire». E più avanti, mestamente, l’articolista accenna a una vertigine «da cui i sottosegretari di piazza e di ministero appaiono immuni, non così temiamo gli elettori dell’Unione, sempre più perplessi».
Altro che perplessi, indignati. Tranne forse i sostenitori di Francesco Caruso e compagnia deliziati, immagino, dall’happening inscenato in quella che ha preteso d’essere una coalizione solida. «La serietà al governo» aveva promesso Prodi. Infatti. Ministri e sottosegretari - retribuiti lautamente sia in quanto tali sia per il mandato parlamentare - scoprono nei loro precordi slanci di veemente socialità. Non rinunciano alla lotta continua, e nel contempo non rinunciano né a un euro delle loro prebende né a un’auto blu. I rivoluzionari del buon tempo antico vivevano in povertà, abitavano in soffitte gelide, erano schedati e spesso arrestati da regimi forcaioli.

I rivoluzionari di questa spensierata Italia sono eccellenze, hanno pingue borsa e portaborse, innalzano come insegna il cachemire, e manifestano solidarietà fervida a precari e pensionati. Senza schiodarsi, sia chiaro, dalle loro poltrone e senza azzerare gli scandalosi privilegi pensionistici del Palazzo. Di veramente precario c’è la pazienza degli italiani.

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