Negli archivi carioca della policia federal diretta abbondano gli schedari coi fuggiaschi italiani, criminali qualsiasi simili in tutto e per tutto a quel Cesare Battisti che per sfuggire al carcere nei mari del Sud, ma ancor prima in Francia, l’ha buttata in politica. Un’infinità di nostri connazionali son passati per le patrie galere di qua prima d’esser rispediti di là, a scontarla in patria. Un veloce passaggio nelle comode celle di Papuda a Rio (dove alberga il Cesare perseguitato continuamente visitato da parlamentari brasiliani) o in quelle meno accoglienti di Uberlandia o Sao Joaquin de Biscas a Belo Horizonte, di Lemos Brito a Salvador de Bahia, e soprattutto di Raimundo Nonato nel Rio Grande del Nord dove, nell’indifferenza dei politici locali, dal 2005 quattro pugliesi di Mola, un campano e un veneto accusati per droga e riciclaggio hanno vissuto in condizioni a dir poco allucinanti: niente ora d’aria, una cella lercia e maleodorante, arroventata come un forno, tre metri per tre da dividere con altri sei brasiliani, quattro litri di acqua a settimana. Tutti e sei hanno perso 20 chili a testa, e due di loro si sono ammalati di scabbia e tubercolosi. Per dire invece di Battisti, comodo e coccolato.
Questa terra è da sempre meta dei latitanti di casa nostra. Contumaci d’ogni genere e lignaggio. Senza scomodare il pentito dei due mondi Tommaso Buscetta che qui riparò fino al marzo del ’93, o il capo camorra Antonio Bardellino accoppato dagli emergenti casalesi (cadavere mai trovato, c’è chi dice ucciso in un villino vicino Rio a Buzios chi alla periferia di San Paolo), l’elenco delle primule rosse, bianche e verdi rintracciate dall’Interpol o dai federali brasiliani è sterminato. Nomi noti e meno noti. Peschiamo dal mazzo dei fascicoli della Catturandi carioca, a caso: il 27 marzo 2003 viene pizzicato a Braia do Canto Antonio M. che per sfuggire ai 48 anni di carcere (concorso in omicidio, decine di rapine) s’era finto pittore e s’era spacciato pure per cittadino arabo dall’improbabile nome: Mohamed Alnie. Trentadue anni di galera doveva scontare Luigi R., re dei colpi in banca nel Nord, ma dal cuore tenero tenero avendo destinato – così disse l’interessato – parte dei gruzzolo rapinato ad una buona causa: un orfanotrofio per i cuccioli delle favelas di San Paolo (non si sono commossi i carabinieri, che l’hanno beccato nel dicembre 2006 al suo rientro clandestino a Livorno). Tre mesi dopo finisce la latitanza in Brasile, durata un quarto di secolo, Vincenzo C., fuggito da un manicomio criminale di Mantova, inseguito da condanne a 30 anni, una nuova vita alla luce del sole, facendosi chiamare Alessandro Grezzi. A poche ore dall’intervento chirurgico maxillofacciale per rifarsi i connotati e campare sereno, Fabio F., criminale della sacra corona unita salentina, s’è visto piombare a casa decine di poliziotti che da giorni presidiavano senza fortuna la clinica di Sao Vicente. E che dire dell’imprendibile Donato C., pedinato sul lungomare di Porto Seguro dalle parti di Bahia e acciuffato da sbirri locali travestiti da turisti. E ancora. Condannato per una violenza di gruppo a una modella minorenne slovena, Andrea C. se n’era scappato dall’altra parte del mondo insieme alla sua bella condanna a dieci anni. Ad aprile del 2003 però è stato acciuffato a Londra. Pagata la cauzione se n’è tornato in Brasile. Nello Stato di Santa Caterina, a Tubarao, aveva trovato riparo – almeno fino al 9 giugno del 2000 - Pasquale M., a spasso per il Brasile per 12 anni con l’accusa d’aver ammazzato a Enna tre persone con le quali s’era indebitato a poker. A marzo di quest’anno, invece, dalle parti di Bahia, a Buraquinho, è stato rintracciato Alfredo F. che oltre a scontare 16 anni per droga e associazione mafiosa è noto alle cronache italiane per l’organizzazione, nel lontano 1978, del falso attentato a Bettino Craxi. Il sassarese Domenico S. pensava d’averla franca nascondendosi a Cuibà, regione del Mato Grosso, ma non aveva fatto i conti con l’Interpol che il 19 ottobre ’99 gli ha presentato il conto: 29 anni di prigione. All’agosto di nove anni prima si riferisce invece il fascicolo dedicato a Umberto Ammaturo, boss dei boss della camorra, cofondatore col «brasiliano» Bardellino della Nuova Famiglia, catturato su indicazione dei carabinieri a Gobernator Valadores, sperduta frazione della landa paolista. Potevano mancare gli ’ndranghetisti?
Certo che no. Se ne contano a decine, presi, impacchettati e caricati su un aereo per Roma. Uno a caso: Giuseppe C., alleato della cosca reggina dei Libri, introvabile per quattro anni e finalmente avvistato a Maricà, non lontano da Rio de Janeiro. Rocambolesca, invece, la cattura di Giovanni D.
GMC