Pci sfrattato dal Pantheon Ora la stella è De Gasperi

Si restringe il campo delle icone di riferimento dell’esponente diessino Addio a Berlinguer, un ruolo d’onore allo statista dei governi centristi

Pci sfrattato dal Pantheon  
Ora la stella è De Gasperi

Torino - Dimmi chi citi, e ti dirò chi sei. Mai, come per Walter Veltroni, questo adagio si rivela vero perché il Pantheon del sindaco di Roma si allarga e si comprime a seconda del messaggio e delle occasioni, si arricchisce di volti nuovi o di antiche conoscenze a seconda delle necessità, si priva di vecchi testimonial se magari sono diventati «inopportuni». E così, ieri, se scorrevi l’elenco dei personaggi citati da Veltroni capivi subito qual è la ricetta della sua discesa in campo.

Meno sogni, più concretezza, aveva detto alla vigilia il sindaco. E allora ecco che compaiono improvvisamente alcuni volti noti che per esempio dominavano l’antologia messa insieme con passione romantica per la sua lezione sulla «bella politica». Più concretezza, ed ecco che compare il reverendo Martin Luther King, il suo «I have a dream». Più concretezza, ed ecco che persino un vecchio classico del pensiero veltroniano, Bob Kennedy, viene messo in ombra. Più concretezza, e persino il candidato radicale e innovativo americano, Barak Obama e la sua audacity hope (l’audacia della speranza), viene spedita in soffitta.

Questo Partito democratico immaginato a Torino deve essere serioso, riformista, e magari persino un po’ polveroso. Ed ecco allora che vengono messi in campo il sindacalista sabaudo Vittorio Foa, il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, lo statista democristiano Alcide De Gasperi, il presidenzialissimo Carlo Azeglio Ciampi, poi gli eroi civili Massimo D’Antona e Marco Biagi, vittime delle Brigate rosse. Ieri, il nome più a sinistra non era come sempre in passato Enrico Berlinguer, ma il socialdemocratico svedese Olof Palme: «La battaglia che va sostenuta è quella contro la povertà, non certo quella contro la ricchezza». Certo, ci sono anche un po’ di leader viventi, ma sono per così dire pedaggi obbligati. E quindi due citazioni per Piero Fassino (che ha ritardato il suo tour nei gulag staliniani pur di essere presente in prima fila), due citazioni per Romano Prodi (che è il leader ulivista a cui la candidatura di Veltroni resta ancora indigesta), una anche per Francesco Rutelli («che - ricorda Veltroni - è partito per l’America»). Infine menzioni d’onore per la coppia di intellettuali d’area, l’economista-politologo Michele Salvati e lo storico di area popolare Pietro Scoppola.

È vero, la straordinaria Luciana Littizzetto ieri dalle colonne de La Stampa, lo aveva affettuosamente sbeffeggiato sulla mania di citare i cari estinti, per quella passione che Veltroni ha dimostrato in questi anni per gli itinerari sulle tombe dei padri nobili, da don Lorenzo Milani a Giuseppe Dossetti. Scherzava la comica: «Quando si fa una casa nuova si comprano i mobili che servono per la vita di tutti i giorni, non le foto dei nonni morti da mettere sui comodini». Eppure, la capacità di evocare sogni e miti, di Veltroni, passa anche per questo, per quella sua particolare vocazione a costruire album di figurine, che fanno sorridere, piangere, che evocano l’amarcord.

Per questo il sincretismo veltroniano ha sempre tenuto insieme storie diverse e spesso distanti, da Agostino Di Bartolomei a Nelson Mandela, dal jazzista Luca Floris, al pilota Antoine De Saint-Exupéry.
Insomma, se ieri i punti cardinali di questo universo di variegati personaggi improvvisamente si restringevano, è anche perché il suo compito di leader impone una nuova identità, la difficoltà di fondere diverse culture lo costringe a ridurre i margini di eccletismo. Le distanze tra gli azionisti del Partito democratico, per ora, riducono l’orizzonte dei sogni veltroniani. Certo, ieri era la prima tappa di un viaggio, sarà curioso conservare la lista di questi testimonial sul treno in partenza per verificare quanti di loro arriveranno alla stazione finale, e chi troveranno ad attenderli.

Diceva Jovanotti, in una canzone che evocava il buonismo veltroniano, che il suo sogno era «un’unica grande chiesa da Che Guevara a Madre Teresa»: sarà curioso capire chi siederà con De Gasperi nella galleria dei ritratti della nuova casa democratica.

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