Il Pd arruola generali e mezzibusti Ma con le liste arriva il mal di pancia

Il nuovo che avanza nel Partito democratico ha il volto noto di David Sassoli, vicedirettore del Tg1 pronto a saltare da Saxa Rubra a Montecitorio. È suo il nome che spicca nel totocandidature di ieri, tra un Fassino riconfermato in Piemonte con Damiano, un Tonini che dal Trentino passa alle Marche, e una selezione di quadri regionali vari (il segretario del Piemonte Morgando, il capogruppo in Liguria Gustavano) che spiccano il volo. C'è anche la corsa tutta rosa tra Calipari, D'Antona, Melandri e Turco per un posto da capolista. A furia di insaccare nomi nelle liste elettorali democratiche, Walter Veltroni semina imbarazzi e acuisce i mal di pancia.
L'ultimo ha colpito una persona con tutti i requisiti per un posto al sole: donna, giovane, ha quel po' di esperienza amministrativa che non guasta (assessore regionale) senza essere stata in Parlamento. Tutto in regola, tranne il cognome. Il suo è Prodi, Maria Prodi. Nipote del presidente del Consiglio uscente. Fuori lui, e fuori anche lei. L'assessore ha affidato il suo grido di dolore a una nota accorata. «Prima mi accusavano di essere supportata da mio zio, adesso non vorrei che avere questo cognome attirasse delle punizioni», si lamenta. Ex Ulivo, ex Asinello, ex Margherita, ora Pd, Maria Prodi se la prende con gli altri membri della dirigenza umbra del partito, soprattutto con un'altra donna, la segretaria regionale Maria Pia Bruscolotti. «La cancellazione del mio nome dalla rosa dei candidati proposta dall'Umbria al tavolo regionale, nonostante l'ampio e importante sostegno ricevuto da moltissimi aderenti del partito, è segnale di una gestione non trasparente», è la sua protesta.
La gastrite di Maria Prodi sarà diventata ulcera a vedere, per esempio, che il posto alla Camera di Ciriaco De Mita sarà preso dalla sua «figlioccia», una ventiseienne casertana che proprio sull'uomo di Nusco, oggi appestato come Prodi, ha scritto la tesi (110 e lode con menzione) e costruito una promettente carriera. Si chiama Pina Picierno e Veltroni ha contrapposto la sua candidatura al leader ottantenne che amava i «ragionamendi» quanto lei la Nutella. Non è un volto nuovissimo: è stata l'ultima presidente dei giovani della Margherita in quota Franceschini, numero due del Pd. Ora agli elettori Pina dovrà spiegare come mai il vecchio Ciriaco non è più il suo mito.
In Umbria, invece, il capolista democratico sarà Francesco Rutelli. Ha scelto un collegio sicuro in uno dei feudi della sinistra; un campo di battaglia dove si vince senza combattere. Non è un bel segnale per Veltroni. Perché Walter vorrebbe che i suoi uomini migliori fossero tutti in prima fila a menar fendenti, invece i «piacioni» preferiscono il certo all'incerto mentre si dedicano alla campagna elettorale per il Campidoglio. E aggiungono un'altra spina alla corona del capo.
Ma Veltroni coprirà le sue trincee con un uomo d'ordine, uno che porta davvero le medaglie sul petto e le mostrine sul bavero della divisa. È il generale di corpo d'armata Mauro Del Vecchio, 61 anni, paracadutista, laureato in Scienze strategiche, comandante del corpo di reazione rapida italiano per la Nato e con un lungo curriculum di missioni all'estero: ha comandato le truppe tricolori in Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Kosovo, Afghanistan. Dovrebbe simboleggiare l'impegno di Veltroni a sostegno delle nostre missioni militari di pace. Ma farà fuggire verso la Sinistra arcobaleno gli ultimi pacifisti del partito democratico.
I quali si fregano le mani per un altro nome che circola nel loft del Pd. Quello dell'imprenditore Massimo Calearo, molto vicino a Luca Cordero di Montezemolo. Con Matteo Colaninno, sarebbe il secondo pezzo da novanta confindustriale alla corte di Walter.

Lui ripete che vuole tornare in azienda dopo gli anni alla guida di Federmeccanica e Assindustria. Ma ancora ieri è stato sibillino: «Fino a lunedì non parlo. Intendo prendermi un weekend sabbatico». Una smentita ma anche no, in perfetto veltronian-style.

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