Roma I due si detestano ma in fondo si assomigliano. Antonio Bassolino e Vincenzo De Luca sono del Pd, sono potenti, hanno conti aperti con la giustizia e sono le due facce della guerra nei democratici che laggiù, in Campania, assomiglia sempre più a una faida. Il primo, ex Pci, ex Pds, ex Ds, ex deputato, ex ministro, ex sindaco di Napoli, sta per diventare pure «ex» governatore della Regione, con somma gioia del secondo. Il quale, già deputato ulivista, ha il suo regno incontrastato a Salerno e ora mira a prendere il posto del suo acerrimo collega di partito.
De Luca a Salerno è un po’ come Ceausescu nella Bucarest pre crollo muro di Berlino: potentissimo. Eletto per la prima volta sindaco col 57,9% delle preferenze nel 1993, cinque anni dopo è stato riconfermato con una valanga di voti (71,3%). E anche quando nel 2001, non potendosi ricandidare alla poltrona di primo cittadino s’è presentato alle elezioni politiche, ha racimolato preferenze manco fosse un aspirapolvere: 55,4% dei consensi, la più alta percentuale ottenuta da un candidato dell’Ulivo in Meridione. Nel 2006 è ritornato alla guida del suo Comune facendo il solito pieno di voti. Insomma, uno capace di fare ombra a «’O governatore».
Un po’ per questo, un po’ perché De Luca gliene ha sempre dette di tutti i colori, Bassolino non lo può vedere. Eppure sarà lui a duellare con Stefano Caldoro per sostituirlo al vertice della Regione. La sua candidatura nasce dalla farsa delle primarie che, in Campania, non si faranno. Sul nome di De Luca convergono i Verdi (nonostante sulla spiaggia di Salerno, grazie a lui, dovrebbe sorgere un chiacchieratissimo ecomostro, ndr) e i rutelliani. Pollice verso, invece, dall’Italia dei valori che per bocca del leader Di Pietro lo boccia senza appello: «Non possiamo accettare una simile candidatura che non rappresenta la discontinuità», e dalla Sinistra radicale: «Scelta sbagliata e perdente». E questo è anche il retropensiero dei bassoliniani nei confronti del sindaco soprannominato «’O Sceriffo» per aver smantellato accampamenti rom, dichiarato guerra a prostitute e lavavetri, messo in mano ai vigili i manganelli quasi fosse il leghista più radicale del profondo Nord-Est. Lui, che non ha mai mancato di sbeffeggiare Bassolino («C’è una Regione in ginocchio, migliaia di posti di lavoro in pericolo nel turismo, l’agricoltura e l’industria casearia») su questione morale e rifiuti c’ha dato dentro: da una parte il governatore «Munnezza», dall’altra lui con «la mia città sembra Stoccolma... Non c’è una cartaccia per terra».
Eppure, i due si assomigliano: anche De Luca ha le sue rogne con la giustizia. Sebbene il Pd abbia chiesto la testa del sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, indagato dalla procura partenopea, quando sembrava in pole position per la corsa alla presidenza tra le file del Pdl, adesso chiude non uno ma due occhi su De Luca, coinvolto in un’inchiesta sulla delocalizzazione delle ex manifatture cotoniere meridionali di Salerno con accuse che vanno dalla truffa aggravata al falso. Non soltanto indagato: De Luca è stato rinviato a giudizio sull’approvazione di una variante urbanistica.
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