A Bologna la festa "democratica" non s'ha da fare. O meglio, ben venga la festa dell'ex Pci-Pds-Ds, ma guai a chiamarla col nuovo nome. La tradizione va rispettata, dunque il marchio non va cambiato: Festa dell'Unità era e Festa dell'Unità deve restare. Da anni nel capoluogo emiliano il Pd resiste alle pressioni ed evita di usare il nome "Festa democratica", come avviene da Nord a Sud in tutto il Paese. All'ombra delle Torri degli asinelli la kermesse estiva ha avuto un discreto successo, sia in termini di presenze (e incassi) sia in termini politici. Si parla di un milione di visitatori per quattro milionid i incasso, 300mila euro in più rispetto all'anno scorso. Niente effetto crisi, dunque, per gli amanti delle salamelle in salsa rossa. Questo entusiasmo ha riportato Bologna, dopo anni e anni, al centro della politica nazionale. Almeno per quanto riguarda la sinistra. Ovviamente dietro le quinte c'erano i prodiani.
Che fare a questo punto? Qualcuno pensa di riportare in auge il vecchio nome. E può darsi che ciò accada in tempi brevi. Visto anche che, ormai, in seno al Pd sono ormai sempre meno gli ex democristiani (Ppi-Margherita). Dunque perché gli eredi del Pci non dovrebbero riappropriarsi di un marchio che, ancora oggi, tira? Si potrebbe anche lasciare libertà di scelta. Ovvero, lasciar decidere alle segreterie provinciali e/o comunali se scegliere il vecchio nome o quello nuovo.
Qualcuno tempo fa, su Facebook, lanciò un gruppo che, in pochi giorni, raccolse migliaia di adesioni: "Aridatece la festa dell'Unità". Nessun dubbio sull'insulsaggine del nuovo nome: festa democratica.
Una domanda a questo
punto sorge spontanea: se un partito non ha la forza neanche di imporre il proprio nome e, per attirare gente a una festa, deve ricorrere all'amarcord, come pensa di poter sfondare? Ai posteri (elettori) l'ardua sentenza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.