Il Pd è malato, l’opposizione si dissolve

La proposta «federale» di Prodi bocciata senza appello anche dai fedelissimi del Professore: «È pericoloso dare il potere ai segretari regionali». Bersani a tentoni: «Ripartiamo dal territorio». I guai di Idv e Popolo viola

RomaDare il nome giusto alle cose è un gesto rivoluzionario. Da qualche tempo questa frase di Rosa Luxemburg ossessiona lo scrittore Gianrico Carofiglio - già magistrato, ora in prestito al Pd in qualità di senatore - che ha preso a ripeterla in giro, quasi come il personale mantra.
La questione è delicata, e non solo perché Carofiglio deve rimuginare parecchio sul fatto di essere capitato, nel momento sbagliato, in un posto sbagliato con il nome sbagliato. Nel partito «senza qualità», dove ci si consuma in prolisse discussioni inconcludenti come quel comitato immaginato da Musil per il protagonista del suo romanzo, Ulrich, con il quale ormai Carofiglio deve immedesimarsi. Partito difficile da definire, sfuggente come la propria identità, e dunque indeciso a tutto, roso da dubbi e possibilità impossibili (come quella di copiare la Lega), «logorato dalla sua stessa mancanza di idee», come avverte un ex capo della comunicazione, Fabrizio Morri, ora senatore, cercando il nome della cosa.
La cosa, sia chiaro, potrebbe essere definita da un nome esatto: dissolvimento dell’opposizione. Perché al male profondo (non oscuro) di cui si sfibra il Pd, va aggiunta la pochezza dei rincalzi: Di Pietro, Grillo, il popolo «viola», persino il Casini ostinatosi in un vicolo cieco. Se Marx è morto, il Pd abortito, gli altri non se la passano bene.
Ma c’è un filo conduttore che non passi per la presenza in gara di un competitor manifestamente superiore, uno «schiacciasassi» come Berlusconi? Un motivo che consenta di ripartire da zero (altro che «dalla base e dai territori», come si sente dire dagli stralunati dirigenti pidini)? Le tracce ci sono. Di Pietro a lungo ha strapazzato gli alleati del Pd, giocando sul giustizialismo anti-berlusconiano. Mandata in fallimento dal corpo elettorale, la ragione sociale dipietrista s’è dimostrata fatua come il personaggio. Ora l’Idv vivacchia stretto tra un «senso di responsabilità» a esso poco congeniale, e la protesta generale espressa dal «vaffanculismo» di Beppe Grillo. A loro volta, i «grillini» dopo l’ubriacatura elettorale in Piemonte ed Emilia, avvertono in modo stringente la vacuità della loro jacquerie a cinque stelle. Il popolo «viola», già scisso in vari tronconi, è nato virtuale e di virtualità vive. Come sa chiunque pratichi Facebook o una qualsiasi web-community, l’identità è opzionale (chiunque può inventarsi nome, profilo e foto che vuole), costituita di accessori passeggeri (ogni gruppo arriva e scompare come il moto ondoso). Esistono anche i sopravvissuti dell’identità comunista, ma restando ben avvinti alle loro caverne primordiali. Avulsi dalla comprensione dei nuovi fenomeni, serenamente s’aggrappano ai vecchi. Spesso consistenti in un buon vitalizio parlamentare.
In questo mondo liquido, l’Udc di Casini ha cercato di stare a galla per trarre qualche piccolo vantaggio di «posizionamento» (leggi: qualche clientes piazzato ad arte). Rendita di posizione che i cattolici moderati rischiano di pagar cara, visto che tradisce la natura stessa del proprio elettorato. Per non parlare dell’operazione Rutelli-Tabacci, un’Api che vola sui seggi solo se fatti in pelle. Manca il centro di gravità permanente, e l’annebbiamento del Pd crea, al posto dell’opposizione, una voragine della quale persino l’amministrazione Usa si preoccupa.
In una situazione del genere, anziché mutare pelle, rivoluzionarsi dentro prim’ancora che fuori, come vorrebbe Carofiglio, la reazione del notabilato pidino è esemplare. L’ideatore nonché padre putativo, Romano Prodi, non manca di fornire una ricetta (tutto il potere al soviet dei segretari regionali) definita «folle» persino dal prudente Franco Marini. La boccia come «pericolosa» anche l’ex portavoce Sircana: «E che facciamo, una volta vincono i segretari regionali del Nord e una quelli del Sud?». Un’altra mente brillante del campo, il filosofo Massimo Cacciari, finisce vittima della tendenza «partito del Nord» e propone già l’anti-segretario: «Tutto il potere del Nord a Chiamparino», sostiene. Il sindaco di Torino, in cerca di posto (tra un anno scade il mandato), freme non poco, e bombarda il quartier generale dai giornali un giorno sì, l’altro pure. Vuole «ripartire dal basso» e, considerata la non eccelsa statura, si capisce dove vada a parare. Il segretario Bersani rintuzza i colpi come può: parla del partito «come lo spiegherei a mia nonna», e nel frattempo chiude la porta a Prodi («non si riapre dibattito sulla forma-partito») e anche a Chiamparino («organizziamo il partito dei territori, non solo quello del Nord»).


Se volessimo dare il nome giusto a questo auto-fagocitamento dell’opposizione per consunzione di idee (e la nausea provocata nell’elettore), bisognerebbe solo parlare di scioglimento. Signori si chiude, a data da destinarsi.

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