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Il Pd nel labirinto: «Su Gaza abbiamo 25 linee diverse» Rutelli: «Giusto che il governo italiano sia vicino a Israele». Il ma-anchismo di Veltroni: «Noi amici di tutti»

RomaAlla fine di oltre tre ore di discussione, la sintesi che tira uno dei parlamentari del Pd presenti è innervosita: «Ma chi ce l’ha fatto fare di organizzare un convegno e far parlare venticinque dirigenti con il risultato di far vedere a tutti che abbiamo venticinque linee diverse sul Medioriente?».
Chiamati a raccolta dal Pd per discutere di Gaza non ci sono solo l’ambasciatore dell’Autorità palestinese Ateyeh e quello di Israele Meir, protagonista tra l’altro di un vivace battibecco con Massimo D’Alema, che accusa i mass media italiani di essere «un bollettino di Israele» e di guardare, per informarsi, solo Cnn e Al Jazeera. Paragone «offensivo», secondo Meir, quello tra la rete araba e la tv americana. Ci sono anche il ministro degli Esteri ombra Piero Fassino, D’Alema, Francesco Rutelli, Franco Marini. E naturalmente il segretario Walter Veltroni, cui spetta il non semplice compito di tirare le conclusioni, cercando di restare in equilibrio tra le voci diverse dei suoi.
Perché se D’Alema ripropone con puntiglio le sue dure critiche a Israele e la sua condanna di quella che ha già definito una «spedizione punitiva» contro Gaza, e insistendo sulla necessità di «dialogo» con Hamas («non c’è solo qualche matto a dirlo, c’è anche l’Onu»); altri dicono cose assai diverse. C’è Rutelli, ad esempio, che elogia la «discontinuità» introdotta in politica estera dal governo Berlusconi: discontinuità, par di capire, anche rispetto alla linea del medesimo D’Alema nel precedente governo. «La posizione di maggiore equilibrio verso Israele - dice - è giusta e giustificata, visto anche il quadro di minacce crescenti verso Israele». Ma Rutelli va oltre: «rigetta» l’interpretazione secondo cui «la violenza fondamentalista di Hamas sia prodotta e giustificata da una “violenza” israeliana»; fa autocritica sulla campagna contro il «muro» d’Israele: «Fu errata, è servito ad arginare il terrorismo suicida». E poi c’è Franco Marini che punta deciso l’indice contro Hamas: «Sono loro che han rotto la tregua, e che ora non la vogliono, vogliamo dirlo o no?», chiede. Anzi: «Facendo prevalere la lettura che Hamas non è solo terrorismo, non affrontiamo la premessa per sbloccare la strategia di pace». Anche per Fassino «le responsabilità di questa crisi sono evidenti», e Hamas va messa «davanti a una scelta netta: riconosca il diritto a esistere di Israele e cessi di contestare l’autorità di Abu Mazen e la sua scelta di negoziare con Israele: se lo fa, sarà parte del processo di pace, altrimenti ne sarà fuori».
Alla fine, Veltroni cerca l’equidistanza: Italia e Ue (e, sottinteso, il Pd) «non devono schierarsi» ma restare «amici di entrambi i popoli»; invita Israele a cercare il dialogo con i «moderati palestinesi» perché il rischio «è un conflitto tra radicalità non solo politiche ma anche religiose, un conflitto tra Islam e Occidente».

E critica «l’assoluto silenzio» del governo.

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