Pd ossessionato dal fisco: serve un’altra tassa

Il partito di Bersani vuole portare dal 43 al 45 per cento l’aliquota sui redditi superiori a 200mila euro l’anno L’ex ministro Damiano: "L’introito servirà a coprire l’allungamento da 12 a 24 mesi della cassa integrazione"

Pd ossessionato dal fisco: serve un’altra tassa

Roma Un riflesso pavloviano, un automatismo involontario. Come quello del cane che comincia a salivare quando suona un campanello perché pensa che gli si presenterà una bella bistecca. Allo stesso modo il Partito democratico quando parla di economia non riesce a trattenere l’istinto primario e pronuncia la parola all’origine di tutti suoi fallimenti: «tasse».
È successo anche ieri in Aula alla Camera. Si stava discutendo la controversa proposta di legge sull’allungamento della cassa integrazione ordinaria (Cigo) nell’ambito del riordino degli ammortizzatori sociali. L’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, ha tirato fuori un emendamento già bocciato in commissione dopo i pareri negativi del ministro Sacconi e della Ragioneria generale dello Stato che lamentava la carenza di copertura finanziaria. Per allungare da uno a due anni la Cigo nel 2010 e nel 2011 basta un’una tantum del 2% sui redditi annui lordi superiori a 200mila euro. L’aliquota marginale salirebbe così dall’attuale 43 al 45% «stangando» una platea di contribuenti che dovrebbe attestarsi attorno al 7% del totale. Ulteriori risorse si sarebbero ottenute con il taglio di parte degli 800 milioni di euro destinati al fondo per l’incremento della produttività del lavoro.
Non c’è niente da fare. Tutte le proposte economiche del Pd si basano sul postulato del maggior prelievo fiscale anche quando hanno uno scopo in sé nobile come quello di assistere i lavoratori di imprese in difficoltà.
Non è un caso che il Partito democratico in quest’ambito sia riuscito a far notizia insistendo sul medesimo errore. Lo scorso anno l’allora segretario Franceschini propose di aumentare il prelievo sui redditi superiori a 150mila euro per aiutare le famiglie impoverite dalla crisi. Mozione ovviamente bocciata.
Non è un caso che oggi sia un ex Ds a invocare le tasse come ieri un ex democristiano. Il substrato ideologico è sempre lo stesso: colpire i cosiddetti «ricchi» nemici della «classe operaia». Forse il fatto più sorprendente è che la posizione di Damiano sia stata sostenuta anche da un riformista. Quel Francesco Boccia, doppiamente «trombato» alle primarie per la Regione Puglia contro il comunista Nichi Vendola. «Stiamo chiedendo a 77mila persone più fortunate non di svenarsi ma di dare un contributo a lavoratori che non arrivano a 800-900 euro al mese», ha detto Boccia sottolineando che per chi dichiara 20 milioni si chiederà un’una tantum di 400mila euro contro gli attuali 4mila. Certo, in Italia i contribuenti così facoltosi sono veramente pochi, ma quei 396mila euro spesi o investiti potrebbero creare opportunità di lavoro molto più congrue.
Eppure il Pd sembra non essersi ancora liberato da questo retaggio marxista-leninista. Così il segretario Pier Luigi Bersani, in occasione dei suoi interventi pubblici, cerca di rimanere sul vago reclamando sostegni e sgravi per le famiglie che non riescono ad arrivare a fine mese, ma senza spiegare come. Ieri Damiano ne ha dato un assaggio. D’altronde, non c’è molto da attendersi su questi temi se Bersani ha pensato bene di affidare la responsabilità del Forum Lavoro del Pd a Emilio Gabaglio, un ex sindacalista Cisl, ma con esperienza di presidente Acli dal ’69 al ’72, l’unico presidente sconfessato dai vescovi della Cei per le posizioni troppo socialiste. Se questo è il nuovo corso bersaniano, buonanotte...
Comunque a Sant’Andrea delle Fratte non si perdono d’animo. Ieri sono riusciti anche a organizzare un convegno per presentare il decalogo del Pd per il rilancio dell’economia. Il solito elenco di buoni propositi (rilancio del Sud, lotta al lavoro nero) senza una concreta strategia di attuazione. Anzi, a dire il vero, un pilastro ci sarebbe: quel contratto unico di lavoro, documentato dal Giornale, che rende tutti i lavoratori licenziabili entro i primi tre anni dall’assunzione. E che mai avrà il benestare del politburo.

Difficile quindi dar torto al ministro dell’Economia, Giulio Tremonti quando afferma che se i «sinistri» tornassero al governo, tasserebbero a tutto spiano Bot, Cct, Btp e il risparmio in generale colpendo «ricchi» e «poveri». Perché il taglio della spesa pubblica improduttiva è tabù.

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