Roma - Anime cattolico-democratiche sempre meno prigioniere del loro disagio e sempre più in fuga. È una emorragia continua, un lento stillicidio di abbandoni, una costante cerimonia degli addii quella che interessa da molti mesi il Partito Democratico. Una dissociazione dalla linea dettata da Pier Luigi Bersani che va ad ingrossare le fila del gruppo misto, dell’Api di Francesco Rutelli o dell’Udc e viene alimentata soprattutto dagli ex esponenti della Margherita perplessi per una linea troppo spostata a sinistra e poco rispettosa delle loro identità originarie.
Gli ultimi a prendere cappello sono stati il consigliere regionale del Veneto Andrea Causin, leader delle Acli venete, e l’eurodeputato Gianluca Susta, con il sindaco di Cosenza, Salvatore Perugini, dato da molti sulla soglia d’uscita e Mariano Rabino, vicesegretario del Pd del Piemonte ed ex popolare, pronto a consegnare oggi una lettera di dimissioni nelle mani del segretario regionale Gianfranco Morgando. Un esodo destinato a rafforzarsi a livello locale e che accende le preoccupazioni dell’area MoDem, quella che fa capo a Beppe Fioroni, Walter Veltroni, Paolo Gentiloni e nella quale si attesta anche l’ex presidente delle Acli, Luigi Bobba. «Io non me ne voglio andare, come continuamente qualcuno sostiene auspicando evidentemente che questi abbandoni proseguano e aumentino» dice Fioroni. «Mi auguro che coloro i quali ripetono al segretario che tutto va bene e i problemi per i cattolici democratici non esistono cambino idea e lavorino per un Pd accogliente per i moderati che vogliono starci ma con la schiena dritta». Il messaggio è chiaro: non è più ora di minimizzare gli addii. Bisogna raddrizzare la rotta del partito se non si vuole assistere alla perdita di altri pezzi. Una preoccupazione condivisa anche da Marco Minniti che non nasconde l’impressione che i vertici del partito tendano a liquidare i problemi politici che stanno emergendo e a nascondere la polvere sotto il tappeto. «I nuovi abbandoni sono un fatto serio che non è possibile sottovalutare e sarebbe sbagliato liquidare con una scrollata di spalle. Queste uscite appaiono allarmanti e preoccupanti» dice Minniti. E Rodolfo Viola, deputato veneto del Pd, rafforza la sua tesi. «Leggiamo sulla stampa le reazioni del gruppo dirigente regionale e nazionale sull’uscita di Causin. Nessun accenno di autocritica, al contrario la auto-assoluzione consolatoria di trovarsi di fronte ad un problema personale, di uno che pensa agli affari suoi e che non si occupa dei problemi della gente». «Chiedo al Pd - dice Viola - di affrontare i problemi concreti delle persone. Penso che il partito debba recuperare il rapporto con il mondo delle partite Iva drammaticamente compromesso da Visco e assumere posizioni e riformatrici sulla giustizia ».
Per il momento dal quartier generale del partito non arrivano reazioni significative. Trapela soltanto il fastidio di chi ritiene che i moniti e le richieste di attenzione finiscano soltanto per creare ulteriore confusione e alimentare il fenomeno degli addii. In ogni caso ciò che impensierisce di più il gruppo dirigente del Pd è soprattutto il pericolo che la faglia possa allargarsi e diventare una voragine. Come dire che un conto sono le fughe solitarie, dettate da motivi di coscienza o di convenienza personale. Un altro conto sarebbero invece le fughe di massa dal Pd. Ipotesi che potrebbe concretizzarsi qualora non ci fosse una vera e propria inversione di rotta.
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