RomaNé con Di Pietro né con Casini: in un solo giorno il neosegretario del Pd ha dovuto divincolarsi sia dalloffensiva giustizialista e piazzaiola dellex pm che dalle proposte pacificatorie del leader Udc, che ieri gli ha proposto di appoggiare un nuovo lodo Alfano.
«Non stiamo in mezzo tra Udc e Idv - spiega Bersani - il Pd fa la sua strada». Anche se lui stesso si rende conto che è una strada un po tortuosa, che rischia di assomigliare molto al «ma anche» di veltroniana memoria e di non permettere scelte chiare. Con mezzo partito che ribolle perché vorrebbe scendere in piazza, e laltro mezzo che lamenta lincapacità di smarcarsi dalla «via giudiziaria» alla politica. «La verità è che dovremmo approvare in tutta fretta e a larghissima maggioranza un nuovo scudo giudiziario per Berlusconi - ragionava ieri ad alta voce un dirigente dalemiano in predicato per la segreteria del Pd - anche perché così gli toglieremmo ogni alibi: di qui alla fine della legislatura ci dimostri come sa governare, senza lamentarsi perché i magistrati non glielo fanno fare». Senza contare, aggiungeva lo stesso esponente, che «se la situazione precipita e Berlusconi ci trascina ad elezioni anticipate, per noi è un disastro», e un bel Lodo (come pensa anche Casini) lo eviterebbe. E però «non possiamo fare quello che dovremmo, perché ci ritroveremmo assediati dai girotondi, da Di Pietro, da Repubblica, e il nostro popolo non lo capirebbe mai».
Unamara conclusione non molto diversa, raccontano dentro il Pd, da quella che nei giorni scorsi lo stesso Bersani ha esposto a Massimo DAlema, che lo sollecitava a varare una «nuova stagione» e a fare aperture serie sulla giustizia, neo Lodo compreso: «Massimo, lo so anche io che sarebbe ora di uscire da questo scontro paralizzante, ma non possiamo permettercelo: il Pd su una cosa del genere non si dividerebbe: andrebbe in pezzi».
E ieri, nellincontro con Casini, Bersani ha usato argomenti simili: al massimo può dire che un nuovo Lodo «non è uneresia». Ma votarlo no, mai e poi mai: «Il partito non reggerebbe». Nel frattempo, Bersani ha dovuto anche ribadire il no alla manifestazione di Di Pietro: «Non aderiamo», anche se «non cè divieto per i militanti Pd» che vogliano parteciparvi. Ma siccome «non prendiamo lezioni di antiberlusconismo da nessuno» e bisogna dare al popolo pd unoccasione per sfogarsi e di non sentirsi da meno dei seguaci di Tonino, allora «anche noi a dicembre faremo una nostra iniziativa». Quale, ancora non è chiaro: la decisione è stata presa di corsa, per frenare i malumori interni. Lala veltronian-franceschiniana moltiplica le adesioni alla kermesse dipietrista e promette di tornare alla carica «di qui al 5 dicembre» per costringere il segretario a cambiare linea: «Il Pd non può tagliarsi fuori da quella piazza». Di Pietro non molla, ben sapendo che colpire il Pd sul fianco giustizialista è facile come affondare il coltello nel burro, e la reazione nevrotica è assicurata: «Al Pd dico: toglietevi il cappello da primi della classe e venite in piazza come tutti noi».
E ad alimentare la confusione ci si mette pure il quotidiano «di casa», LUnità: ieri, nellentourage di Bersani, si definiva «un vero colpo basso» la prima pagina del giornale diretto da Concita De Gregorio, tutta dedicata alla «mobilitazione che cresce» per il «No B-day» cui Bersani aveva appena detto no, e leditoriale della direttrice, che citava l«appello accorato» di un lettore per convincere il Pd a scendere in piazza, altrimenti il suo popolo si sentirà «solo e orfano», come la piccola fiammiferaia di Andersen. «E pensare che gli diamo pure i soldi!», sibilava infuriato un dirigente bersaniano. Mentre dal fronte opposto laltro quotidiano Pd, Europa, nota sconsolato: «Siamo sempre lì.
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