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Pd, scoppia la lite tra Franceschini e D'Alema

Leader assenti alla prima convention del partito. D'Alema c'è ma solo per minacciare scissioni: "Se Bersani perde non so come reagiranno gli iscritti". Il segretario ad interim punta di allargare i propri consensi al voto dei lettori di Repubblica, e promette: "Opposizione dura"

Pd, scoppia la lite tra Franceschini e D'Alema

Roma - Prima il must patriottico dell’inno di Mameli, coi tre candidati impalati a fare karaoke sul «siam pronti alla morte».
Poi, nella cornice mestamente aeroportuale dell’hotel Marriott dove si celebra la convention Pd, si chiama alla solidarietà per le vittime di Berlusconi: applausone a Giorgio Napolitano e al suo «faticoso impegno a difesa della Costituzione», e chi glielo renda faticoso è facile da capire; applausone a Rosy Bindi che «con sette parole ha dato all’Italia il senso della dignità che il Pd garantisce alle donne», lui sì.

Quindi si passa ai lutti: i soldati italiani uccisi in Afghanistan e i morti sotto la frana di Messina, celebrati cumulativamente con un minuto di silenzio. Subito dopo arriva la lettura dei «messaggi dall’aldilà», come li definisce un irriverente bersaniano: il lungo saluto di Romano Prodi e lo stringatissimo telegramma di auguri di Walter Veltroni, i fondatori assenti. Il primo viene dato in Cina, il secondo da Fabio Fazio per presentare il suo libro in tv. Niente messaggi da Francesco Rutelli, assente per una diplomatica influenza. «Mancano solo i saluti di Occhetto e Berlinguer e poi siamo a posto», fa uno a Gianni Cuperlo, e quello sospira: «Magari arrivano». Non arrivano, ma in compenso c’è un’ovazione per Aldo Moro, evocato da Ignazio Marino.

Quando iniziano gli interventi dei tre candidati la platea tira un sospiro di sollievo. Mancano due settimane alle primarie, cui Pierluigi Bersani si presenta in pole position, forte dell’ampia vittoria tra gli iscritti. E però, a sorpresa, alla convention trionfa per applausi lo sconfitto Dario Franceschini. E dopo le standing ovation e i cori di «Dario-Dario», il fronte franceschiniano annuncia che la rimonta è possibile. Anzi, probabile.

Sarà che il sobrio Bersani ha sottovalutato l’importanza della claque e ha usato troppo understatement, o che il furbo Franceschini ha capito da tempo che l’antiberlusconismo a tinte forti (condito da una buona spruzzata di antidalemismo) è il miglior Viagra per l’applausometro. Fatto sta che chi era entrato papa, ieri, è uscito dalla convention Pd ancora cardinale. E che, a giudicare dalla faccia e dalle prime dichiarazioni, Massimo D’Alema era nero. C’è da capirlo, visto che il segretario uscente lo ha preso con decisione a suo unico bersaglio polemico, insieme all’ «ominicchio Berlusconi», ignorando Bersani («Se vinco sarà il primo che chiamerò a collaborare. Per le sue competenze economiche», ha promesso, perfido) e attaccando il suo sponsor. «Caro Massimo, vorrei dirti che i primi a rispettare il voto delle primarie saranno proprio gli iscritti, chiunque vinca. Loro non ne hanno paura». D’Alema, in prima fila, si limita a stringere le labbra mentre incassa il colpo e l’applauso che segue. Solo il giorno prima era stato lui a dire di «non sapere» se gli iscritti accetterebbero un risultato che ribalti la vittoria di Bersani. Non replica, se non per annunciare ai giornalisti che ora lavorerà «con ulteriore motivazione» per il suo candidato. Ma dai dalemiani parte una raffica di dichiarazioni anti-Franceschini: «Bersani ha parlato al Paese proponendo un’alternativa di governo, Franceschini ha fatto un comizio», attacca Gianni Pittella. «Dario? Ottimo intervento, se fosse candidato alla segreteria di Italia dei Valori al posto di Di Pietro», infierisce Fabrizio Morri, «un crescendo rossiniano di antiberlusconismo. Ma non credo basti a vincere le primarie, e ancor meno le elezioni». Nicola Latorre è tranchant: «Fossi in Berlusconi, manderei i miei a votare per Franceschini alle primarie: con lui continua a vincere tranquillo».

Il segretario però continuerà dritto su questa strada: sa che può avere chance se la platea del 25 ottobre si allarga al voto di opinione dei lettori di Repubblica, e se chi va a votare lo fa convinto di scegliere il paladino della lotta anti-Cavaliere. «Se vinco farò un’opposizione dura e intransigente, senza paure e senza timidezze», promette scatenando il tripudio. Bersani intanto incassa il voto Cgil: Guglielmo Epifani annuncia di stare con lui.

In cambio, dicono i maligni, sarà candidato presidente della sua Umbria quando l’anno prossimo dovrà lasciare la guida del sindacato.

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