Il Pd si fa la guerra con i sondaggi e confessa: perché votare sinistra?

Genova11-35-54-75-79-56. Mannaggia al Superenalotto, ci si è messo pure lui contro il Pd, che la sestina buona l’aveva bella e pronta se non fosse stato appena centrato il jackpot. I numeri li danno direttamente i capi. Gli aspiranti capi. L’11 se lo prende Ignazio Marino e per lui è già grasso che cola. Il 35 è di Dario Franceschini che vede col binocolo Pier Luigi Bersani volare al 54 nella corsa alla poltronissima. Eh no, ribattono dal Botteghino, il 79 per cento ha fiducia nel segretario e solo il 75 ce l’ha nell’ex ministro. Già, percentuali. Sondaggi, per la precisione. Quella roba lì, quella che è aria fritta ogni volta che racconta di un Berlusconi premier più amato o di un Popolo della Libertà in costante vantaggio in vista di ogni elezione. E che probabilmente tornerà ad esserlo non appena si svolgeranno le primarie del Pd. Il sesto «estratto», il 56, è infatti la percentuale degli elettori del partito che promette di andare ai seggi interni alle sezioni per scegliere il segretario. Come dire che alle prossime elezioni vere il Pd non potrà neppure sperare di raddoppiare quei voti fatti in casa.
Ma che importa? Un passo alla volta. Ora l’unica cosa che conta è prendersi il partito. E allora le armi da usare sono tutte buone, anche se sono un po’ poco di sinistra. La guerra dei sondaggi è scatenata sui giornali. E se il Riformista annuncia i numeri della «Ipr marketing» che danno ormai irraggiungibile Bersani, Franceschini rilancia sul Corrierone che la «Ipsos» gli attribuisce la maggior fiducia degli elettori di sinistra. Persino Gianni Riotta, lasciato il Tg1 per il Sole 24 Ore, si catapulta alla Festa Democratica di Genova e inchioda il segretario con la domanda più cattiva di tutta l’intervista: «Un giornale dice che vinci tu, un altro che vince Bersani. Cosa c’è di vero»? Franceschini non vacilla e rassicura che «comunque vincerà il Pd perché sarà una partita vera, e non le vecchie primarie di Prodi e Veltroni dove l’esito era già scritto». Così impara anche il Walter nazionale a dire che «non è tutta colpa di Berlusconi».
Per fortuna poi l’ex direttore del primo tiggì d’Italia recupera bacchettando il Giornale colpevole di aver mostrato la platea vuota all’inaugurazione della Festa: «E questi sarebbero dibattiti deserti?» chiede a una pista di pattinaggio prestata al Pd finalmente piena dei suoi duemila posti disponibili per l’arrivo del leader. E subito dopo arriva anche il comunicato stampa del Pd, con Lino Paganelli, responsabile della Festa e della battutaccia anti Berlusconi, che coglie la dritta e spara: «Ci è nota l’onestà intellettuale del neo direttore del Giornale. Per questo non dubitiamo che dopo la prima pagina di oggi (ieri, ndr) l’edizione del suo quotidiano sarà aperta da una foto della sala stracolma che ha accolto Dario Franceschini alla Festa Democratica nazionale di Genova».
Comunque un punto di riferimento serve al Pd. E dopo la parentesi sul Giornale, Franceschini torna a Berlusconi. Lo nomina decine di volte. Si parla del futuro del Pd, ma il chiodo fisso è quello. Fino all’ammissione che spiega tutto: «Se mi sono ricandidato è grazie alla battuta di Berlusconi - confessa Dario - Quando sono diventato segretario lui disse: “Ecco l’ottavo leader, presto vedremo il nono”. Questa frase mi ha infastidito e così mi sono detto che a decidere sul mio futuro non sono sei persone chiuse in una stanza ma il popolo del Pd». E poi confessa: «Chi vota nel nostro campo, non mi riferisco al Pd ma al centrosinistra, non sa cosa vota. Abbiamo vissuto dell’eredità delle gloriose tradizioni dei partiti precedenti ma abbiamo avuto troppa instabilità». A mettere d’accordo tutti è il professor Ignazio Marino: sempre ultimo in tutti i sondaggi pagati da Bersani e Franceschini, mai neppure nominato alla Festa democratica né dall’intervistatore né dall’intervistato, scaricato senza troppe perdite di tempo sulla questione delle nomine alla Rai da farsi prima del congresso.
Il nuovo Pd, insomma, riparte da dove si era fermato. Dal nemico di sempre. Anche perché di alternative Franceschini non sembra averne molte a disposizione. E in giornata a Genova, prima di sbarcare al Porto Antico, era stato a visitare Villa Migone, luogo della resa dei nazisti.

«Il Pd dovrà mettere sempre più la conservazione della memoria democratica al centro della sua politica - ha dettato il programma -. Sembra che ogni volta purtroppo si debba riconquistare la condivisione dei valori». Il futuro è il ’45. Il numero jolly.

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