Roma - Uno-due del salvataggio di Tedesco al Senato e dell’indagine su Penati a Milano mette in serio imbarazzo il Partito democratico.
Basta farsi un giro sui blog di area e sulle pagine Facebook del Pd e dei suoi parlamentari per leggere fiumi di proteste e sfoghi di militanti e simpatizzanti inviperiti. Spesso animati da furia giustizialista: se un deputato, come ha fatto Dario Ginefra, confida sulla sua pagina on line di aver passato «tutta la serata a pensare all’arresto di Papa», perché «mandare una persona in carcere è una cosa dura», gli si scatenano contro quelli che «ben altro ci vorrebbe per questi miserabili». Ma è soprattutto sul caso Tedesco che i militanti sono infuriati, e accusano il partito di averlo voluto salvare. Di certo alcuni democrat (cinque o sei secondo il Pd, più di 15 secondo il Pdl, ma dimostrarlo è impossibile, con lo scrutinio segreto) hanno votato contro l’arresto. Spesso per convinzione garantista: difficile mettere in dubbio, ad esempio, che i «no» all’arresto di Franca Chiaromonte o Franco Marini siano stati dati in coerenza con principi sempre sostenuti. «Avrebbero detto no anche all’arresto di Papa, se fossero stati alla Camera», spiega un collega.
Su altri però si scatenano i sospetti: Arturo Parisi se la prende con Nicola Latorre, dalemiano e pugliese come Tedesco, nonchè autore dell’accordo col Pdl in capigruppo per mettere in calendario la richiesta di arresto per il senatore in contemporanea con quella per Papa. Una scelta che ha mandato su tutte le furie Bersani e su cui c’è stato un duro scontro, nella riunione dei capigruppo Pd di martedì sera, tra stato maggiore della Camera e del Senato. «Leggo sui giornali - dice Parisi - che un “guasto tecnico” ha costretto Latorre a dichiarare, solo a voto già proclamato, il voto espresso e non registrato a favore dell’arresto di Tedesco: spero che voglia chiarire presto che è successo». Latorre replica secco: «Consiglierei a Parisi di concentrarsi su qualcosa di più serio per non inciampare nelle solite e sterili polemiche a cui sembra particolarmente affezionato», e ribadisce di aver votato contro l’arresto. Ma Parisi insiste: «Non si illuda il senatore Latorre di aver detto l’ultima parola. Troppe sono le domande sulla vicenda Tedesco: dal suo ingresso in Senato alle sue mancate dimissioni. Altro che polemiche sterili».
La frittata ormai è fatta: il parlamentare di destra è a Poggioreale, il senatore di sinistra resta tranquillo al Senato, e poco importa che i voti «dissidenti» del Pd non siano stati determinanti per salvarlo, visto che al Senato la Lega ha votato con il Pdl, a differenza che a Montecitorio. «E non escludo che lo abbia fatto anche per metterci in difficoltà», ammette più di un parlamentare Pd. Perché il risultato - che fa rumoreggiare la base - è che il Pd sembra quello che salva sottobanco i suoi indagati mentre affonda quelli altrui. E pensare che poco prima dei due voti fatidici, in un capannello Pd a Montecitorio qualcuno aveva affacciato uno scenario che a in quel momento pareva paradossale: «Pensate se per caso qui mandiamo dentro Papa e invece al Senato Tedesco si salva». Il vicesegretario Enrico Letta scuoteva la testa: «Non succederà, ma se succedesse per noi sarebbe un disastro».
È andata così, invece. E proprio nelle stesse ore in cui arrivava la notizia dell’inchiesta su un uomo-chiave del segretario Bersani come Penati, capo della sua segreteria fino a pochi mesi fa, e regista della campagna bersaniana per le primarie. Gli uomini del segretario assicurano che non c’è preoccupazione e che la vicenda si «sgonfierà». Penati si è autosospeso ieri da vicepresidente del Consiglio regionale lombardo ribadendo la sua «totale estraneità».
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