Roma - Il Pdl, considerando ormai Fini un capo fazione ostile, ne chiede le dimissioni. Bossi arriva persino a spernacchiarlo ma lui, che ieri ha ufficializzato il passaggio dal gruppo parlamentare del Pdl a quello di Futuro e libertà, resiste. Prosegue nella strategia di tenere in piedi maggioranza e governo per allontanare lo spettro delle urne e intanto si organizza. Sullo sfondo resta l’ipotesi di un governo tecnico a cui, tuttavia, crede poco perché ai suoi confessa: «Se si va avanti, l’unica via d’uscita sono le urne».
Il caso Fini piomba sul tavolo già al primo giorno di riapertura di Montecitorio. Alla conferenza dei capigruppo, convocata per calendarizzare i lavori della Camera, i toni sono cordiali ma l’atmosfera è tesa: «Buongiorno a tutti - fa il suo ingresso il presidente della Camera - passate bene le vacanze? Io in maniera un po’ movimentata ma va bene lo stesso», dice ai presenti. Cicchitto (Pdl) prende la parola e sottolinea «la contraddizione tra il ruolo di presidente della Camera e quello di leader politico». Fini tace. A difendere il suo leader è Bocchino che subito eccepisce: «Non è questa la sede. Il tema è politico e non istituzionale. E poi anche Casini...». Alludendo al fatto che anche il leader centrista, quando ruppe con Berlusconi, era a capo di un partito. Tirato in ballo, Casini interviene: «No, no, un momento. Il parallelismo non è con me ma con Spadolini e Fanfani...». Taglia la testa al toro Fini in persona: «Se rispondessi in questa sede alle obiezioni dell’onorevole Cicchitto verrei meno al mio ruolo di presidente della Camera».
Eppure il Popolo della libertà fa fronte comune nel ritenerlo non più idoneo perché sorta di Giano bifronte: presidente della Camera ma anche leader di un uovo partito che ritiene addirittura «morto» il Pdl. Così, anche se tutti riconoscono che non c’è norma per dimissionarlo, ne sottolineano l’ambiguità. Qualcuno ricorda perfino l’episodio della direzione nazionale del Pdl lo scorso 22 aprile quando, di fronte alla critica del Cavaliere di non essersi neppure presentato in piazza San Giovanni a Roma durante la campagna elettorale per le regionali, Fini rispose caustico: «Era un comizio! Il presidente della Camera non fa comizi!». Ironico il berlusconiano Giorgio Stracquadanio: «Trasformatosi da cofondatore del Pdl a neofondatore del Fli, si vede che ha cambiato opinione sul presidente della Camera che ora può fare comizi. Aspettiamo di vedere in quale libretto lo ha letto». Il governatore della Lombardia Formigoni sottolinea invece l’ambiguità della sua linea politica: «Fini dovrà chiarire la sua duplice promessa: da una parte di fare un partito diverso, dall’altra di continuare a sostenere il governo. Non credo riuscirà a mantenere entrambi gli impegni».
Eppure la strategia finiana è chiara, seppur possa sembrare paradossale: appoggiare in tutti i modi governo e maggioranza per buttare dall’altra parte della barricata l’onore di una crisi e di probabili elezioni anticipate. Il motto: non saremo noi a staccare la spina di questo esecutivo. La speranza dei futuristi è che lo faccia il Pdl o la Lega per poi accusare gli avversari, in campagna elettorale, di aver trascinato il Paese ad elezioni. Ma c’è un ma: il leader del Carroccio ha già fatto sapere di esser disponibilissimo a premere il grilletto e ammazzare questo governo pur di andare alle urne. Berlusconi per ora frena e i finiani tirano il fiato. Intanto, sullo sfondo, resta l’ipotesi seppur remota di un governo tecnico. Per ora i numeri di un esecutivo diverso, che sulla carta faccia soltanto una nuova legge elettorale, ci sarebbero alla Camera ma non al Senato.
Ed è sul «per ora» che si aggrappano i finiani. Un futurista confessa: «Davanti al pericolo di andare a casa e perdere la pensione da parlamentare molti pidiellini potrebbero traslocare pur di tenere in vita la legislatura».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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