Il Pdl dopo la scossa di Bondi: «Tra di noi c’è chi rema contro»

RomaBerlusconi, pensaci tu. Complice l’intervento sul Giornale di Sandro Bondi, uno dei triumviri del Pdl, il partito si sdraia sul lettino dello psicanalista e si fa un esame di coscienza. «Ma che ci sta succedendo?», si chiedono in molti. «È vero o no che anche al nostro interno c’è chi rema contro, o quantomeno non voga nella stessa direzione del leader?». La risposta è unanime: è vero. «Si tratta di atteggiamenti trasversali, sempre più diffusi, che hanno in comune un’idea della politica molto distante da quella che ha fatto irruzione nella vita politica italiana grazie alla leadership carismatica di Berlusconi», ha scritto Bondi. E in effetti sono in tanti a pensarla così, anche se non si trova alcuno che faccia un pallido mea culpa. E che, come dice Bondi, «le idee di Berlusconi, le sue concezioni, si diffondono tanto rapidamente tra i cittadini quanto incontrano una continua resistenza e persino facili ilarità tra numerosi esponenti politici che hanno aderito prima a Forza Italia e poi al Pdl» lo ammette pure il senatore Gaetano Quagliariello. Il quale arriva a dire che «il Pdl ha senso soltanto se è il primo partito della democrazia degli elettori. Un partito forte che si basa sull’accordo tra il leader carismatico, il partito stesso e gli elettori». E fin qui nulla di strano. Ma la peculiarità del Pdl deve rimanere quella che «il partito deve essere al servizio del leader carismatico e non viceversa. Nel momento in cui avviene il contrario, torniamo indietro verso modelli di democrazia e di partito vecchi, stantii e perdenti». Non sono soltanto Quagliariello e Bondi a temere la resurrezione di schemi novecenteschi e pertanto superati. Giorgio Stracquadanio, per esempio, è esplicito e netto: «Il modello del rapporto stretto tra leadership e popolo è quello giusto: e anche a sinistra se ne stanno accorgendo. Basti vedere il caso Vendola: uno che ha sbaragliato la nomenklatura di partito, il politburo delle segreterie, i leader storici. Il partito novecentesco, interprete delle masse, non c’è più, non esiste».
Per la prima volta, forse, dalle truppe pidielline arriva un auto richiamo all’ordine: attenzione a non soffocarci nei giochi di potere, nei ricatti, nelle imposizioni di questo o quel candidato, nelle correnti, nell’apparato. «Forza Italia prima, il Pdl poi, sono nati attorno al proprio leader e l’elettorato ha aderito con convinzione - riconosce Quagliariello -. Rimanga così perché altrimenti rischiamo di essere affetti pure noi dal morbo delle correnti». Berlusconi monarca assoluto della sua creazione, specie in materia di candidature? Non proprio: «Certo che il territorio deve farsi sentire ma questo non deve tramutarsi in una sorta di ostruzionismo alle decisioni prese da Berlusconi». Anche il deputato Mario Valducci, forzista della prima ora, condivide appieno le parole di Bondi e va oltre mettendo in guardia la sua squadra: «Lo spirito del ’94 è quello vincente e non deve tramontare mai. Di recente abbiamo spremuto il tubetto del nominificio, del candidaturificio. Spremiamo quello delle idee, invece. Il metodo della scelta del candidato per la Puglia, per esempio, non mi piace. E parlo di metodo, non del candidato... Una scelta dettata da un’accelerazione che non è stata in armonia con il comportamento solito di Berlusconi. Il problema è che, come ha detto Bondi, tanti, troppi, guardano indietro: verso un modello di partito ormai morto».
E qui, forse, torna a pesare il vulnus all’origine della fusione tra Forza Italia e An: il primo, movimento ipercarismatico che coincide e si sovrappone ai voleri del capo; il secondo, partito più strutturato abituato alle mille discussioni, spesso formali, alle sezioni, ai colonnelli e alle nomenklature. L’onorevole Osvaldo Napoli getta acqua sul fuoco ma avverte: «Il nostro è un matrimonio che deve durare. Dobbiamo tutti, tuttavia, fare un bagno di umiltà. Ma soprattutto, gli amici ex aennini devono comprendere che serve essere riconoscenti nei confronti di Berlusconi che in due occasioni, nel ’94 e con la recente scommessa vinta del partito unico, li ha tolti da un cul de sac. Anche nelle divergenze e nella contrapposizione la riconoscenza dev’essere superiore alla divergenza». E anche Stracquadanio ce l’ha con la cosiddetta «sindrome dell’ex»: «Ex aennini, ex socialisti, ex democristiani: sono loro che, retaggio della partitocrazia novecentesca, hanno da ridire quando Berlusconi fa il “dadaista”. Non capendo fino in fondo che quella è la sua e la nostra forza».


Di nomi non se ne fanno ma i supposti sabotatori sono tutti quelli che in nome del partito, delle tessere, delle amicizie tendono ad imporre i propri amici e i propri candidati, sempre «vincenti». Sulla carta, però. Di fatto, esperienza insegna che chi ci ha sempre visto giusto è stato Berlusconi. Ora chiamato a gran voce dai suoi: «Decida lui», dicono in coro in molti, compreso qualche ex aennino.

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