Pechino liquida lo Xinjiang come "complotto straniero"

Secondo l'agenzia Asianews, le autorità cinesi attribuiscono la responsabilità degli scontri all'ispirazione di Rebiya Kadeer, arrestata nel 2000 e poi rifugiata negli Usa da dove piloterebbe «le forze estremiste»

Pechino liquida lo Xinjiang 
come "complotto straniero"

Un «complotto straniero»: è questa la spiegazione data dalle autorità cinesi alle rivolte nello Xinjiang secondo Bernardo Cervellera, direttore dell'agenzia Asianews. Morti, feriti, la rivolta di una grande regione contro il potere di Pechino vengono addebitati all'azione di Rebiya Kadeer, un'imprenditrice di 62 anni in origine membro del Partito e poi disillusa: arrestata nel 2000 per aver svelato imprecisati «segreti di stato», nel 2005 ha ottenuto per motivi medici di abbandonare lo Xinjiang e rifugiarsi negli Stati Uniti abbandonando la famiglia. «La Xinhua e il Partito la definiscono "corrotta", impegnata con il "terrorismo internazionale", il "separatismo" e le "forze estremiste" - sostiene Cervellera in un reportage per il sito ilsussidiario.net - desiderosa di "sabotare le attività per celebrare i 60 anni della fondazione della Repubblica popolare cinese quest'anno", in ottobre.
Un complotto straniero: un modo semplicistico per liquidare la faccenda. Nei giorni scorsi sono morte 156 persone e oltre 800 sono rimaste feriti. Il ritorno del presidente Hu Jintao (abbandonando il G8 in Italia) ha dispiegato decine di migliaia di militari che si sono interposti fra zone uigure e i cinesi Han. La calma viene mantenuta anche con le minacce. «Gli uiguri sono una etnia di origine turca, stanziata nel nord est della Cina da secoli - spiega Cervellera -. Pechino tenta la carta di colonizzare la regione spingendo alla migrazione i cinesi Han, affidando loro posti nella burocrazia, nel commercio, nelle banche e offrendo facilitazioni fiscali». La posizione dello Xinjiang, interfaccia con l'Asia centrale e i ricchi giacimenti di petrolio del Kazakistan, come pure la ricchezza di gas e petrolio del sottosuolo della regione, spingono la Cina a un controllo serrato e alla rivendicazione che essa è terra cinese, anche se dal 1911 al 1949 da parte degli uiguri vi è stato perfino il tentativo di dichiarare una Repubblica indipendente del "Turkestan Orientale".
«Ma la tensione apertasi in questi giorni nello Xinjiang preoccupa la Cina non più solo come una questione fra il governo e la minoranza uiguri - sostiene Cervellera -.

In ballo vi è pure la scontentezza degli han e l'inquietudine di molte fasce della popolazione cinese a causa della corruzione, della crisi economica, del dissenso represso. La scintilla dello Xinjiang potrebbe saldarsi con altre situazioni di crisi in tutto il Paese. Non essendoci spazi per esprimere lamentele e reclamare diritti, tutto rischia di esplodere.

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