Peck, il salumaio d’oro che guarda oltreoceano

Peck, il salumaio d’oro che guarda oltreoceano

All’inizio del secolo scorso lo avevano battezzato lo «Sbafing club dei milanesi», meta storica della sporta di vip, attori e intellettuali. Oggi Peck, il salumaio di via Spadari emblema del cibo di lusso, ha cambiato assetto. L’ingresso del conte Pietro Marzotto, che ha appena rilevato due terzi della società, rilancia il tempio del gusto sulla scena internazionale ma tenendo salda la tradizione di un marchio fondato nel 1883 come epicentro di leccornie: dai famosi ravioli ai piatti pronti, dalla pasticceria «stellata» all’enoteca che vanta oltre cinquemila etichette provenienti da ogni angolo del mondo. Il tutto su 4mila metri quadrati distribuiti su tre piani che ospitano le pause pranzo di migliaia di milanesi gravitanti nel centro storico. Mauro Stoppani, titolare con il padre Angelo delle quote della «Angelino» che nel 1970 rilevò la storica salumeria dai fratelli Grazioli, guarda con ottimismo alla globalizzazione di un marchio che fattura circa 25 milioni di euro realizzati sia con il negozio che con il ristorante di via Victor Hugo, oltre alle vendite via internet. «Ora l’obbiettivo sarà sempre più il mercato estero, il che significherà puntare sui licenziatari piuttosto che aprire nuovi punti vendita». Attualmente Peck è già presente con 15 negozi in Giappone in partnership con il gruppo Takashimaya, e a Dubai con Armani nel grattacielo più famoso dell’emirato. «Ai licenziatari - dice Stoppani - forniremo qualità ed esperienza acquisite con il ristorante e l’Italian bar e, ovviamente, i nostri prodotti con il marchio Peck». Prodotti selezionati da fornitori nazionali e internazionali («le carni per esempio arrivano dalla Baviera») che fanno il pari con le preparazioni fatte in casa che vengono esportate in tutto il mondo. «Nei nostri laboratori certificati Cee lavorano sette pasticceri e 15 cuochi più altri otto operatori nel settore carni e formaggi». Tra gli chef figurava l’ormai celebre stellato Carlo Cracco, che fino al 2007 gestiva il ristorante targato Peck. «Diciamo che gli fornivamo i prodotti - dice Stoppani - ma ad ogni modo lo abbiamo lanciato noi». Oggi al suo posto c’è un altro stellato, Matteo Vigotti. Ma non è certo la cucina d’alta ricerca - sottolinea Stoppani - il valore aggiunto dell’azienda. «Potrà sembrare strano ma il segreto del nostro successo di fidelizzazione sta nella semplicità e nella tipica tradizione italiana. E il pubblico che si rifornisce alla gastronomia mediamente chiede piatti “poveri“, come pasta e fagioli, cotoletta, patate al forno, trippa eccetera. Anche all’Italian bar mettiamo in lista piatti semplici, dopodichè se qualcuno cerca il caviale o l’aragosta glieli diamo...». Piatti poveri e Peck parrebbe un ossimoro, giacchè nell’immaginario collettivo il negozio di via Spadari è considerato la gioielleria dei salumai. «Ma anche questo trovo sia un pregiudizio - dice Stoppani - poichè la nostra è una clientela estremamente variegata e funzioniamo anche come negozio di prossimità. Abbiamo il vip che viene a far la spesa con l’aereo personale ma anche la vecchietta che tutti i giorni compra il pane o lo stracchino». Un cliente affezionatissimo è Paolo Villaggio che, pur quando a dieta, ama soffermarsi a contemplare i gustosi scaffali e chiacchierare con il personale.

I prezzi, certo, non sono da supermarket. «La qualità si paga e da noi viene soltanto chi si vuol bene e ama trattarsi bene a tavola. Conosco anche persone molto ricche che da noi non sono mai entrate neanche una volta».

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