Pedenovi, la targa della discordia

Viale Lombardia 65 e 67: i residenti non vogliono la lapide che ricorda il consigliere Msi ucciso

I morti non sono tutti uguali. Nemmeno trent’anni dopo. Nemmeno quando si pensava che mettere una targa per ricordare un consigliere provinciale crivellato sotto casa da un commando di Prima linea fosse cosa talmente ovvia da non far nemmeno più notizia. E, invece, non è così. La notizia c’è. Eccome. I «cuori neri», quelli raccontati da Luca Telese, per qualcuno non meritano ancora rispetto. Né poche parole a ricordare uno dei tanti agguati. Orribili soprattutto perché vili, perché organizzati da vigliacchi mascherati pronti a colpire gente indifesa. E così oggi Enrico Pedenovi muore di nuovo. Avvocato, rappresentante delle istituzioni (era consigliere provinciale), missino. Sì, missino, quando esserlo voleva dire rischiare la vita. Missino ancora oggi che esserlo stato significa non meritare nemmeno un minimo di rispetto. Anche dopo che il consiglio comunale, a stragrande maggioranza, ha disposto che in viale Lombardia, lì dove cadde, venga affissa una targa ricordo. Semplice, con il nome e poco più. Troppo per gli inquilini dei civici 65 e 67 (fra cui un circolo Arci). Case di proprietà del Comune che, perciò, non avrebbe nemmeno dovuto chiedere permesso. E, invece, loro hanno detto di no. Che quella targa metterebbe a rischio la loro «incolumità fisica e morale». «Incolumità morale? Il Comune - spiega il vicesindaco Riccardo De Corato - ha preferito non forzare la mano e passare dall’altra parte della strada. Ma anche lì un privato ha detto di no.

Fa male a tutti, ma soprattutto a me che Pedenovi lo conoscevo e l’ho visto morto». Si è deciso di mettere la lapide su un palo. Ma nemmeno questo va bene. C’è chi ieri ha avuto il coraggio di cacciare gli operai. Vergogna, anche trent’anni dopo.

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