Maurizio Cabona
Il finale è il culmine di un film. Quello del Caimano di Nanni Moretti ha poi una dimensione profetico-apocalittica, sincrona per due settimane con l'Italia pre-elettorale. Ma in maggio il film sarà al Festival di Cannes. Allora o Berlusconi sarà sempre presidente del Consiglio e Il Caimano avrà ancora senso, quindi sarà facile premiarlo contro Berlusconi, come accadde nel 2001 con La stanza del figlio. Oppure Berlusconi sarà capo dell'opposizione e il finale del Caimano sarà datato, quindi premiarlo sarebbe il calcio dell'asino: glielo tirerà un regista cinese lontano da Moretti come Wong Kar-wai, che quest'anno presiederà la giuria?
I destini di Berlusconi e Moretti si rivelano dunque ancora una volta connessi: il primo può ignorare il secondo, il secondo vive in contrapposizione al primo. Senza lo stratagemma del film nel film, senza il produttore in affanno (Silvio Orlando) che risorge grazie alla sceneggiatura di una principiante (Jasmine Trinca) e gira il film sul processo di Milano contro Berlusconi, Il Caimano sarebbe l'ennesimo film di Moretti con Orlando; l'ennesimo film su un cineasta finito; l'ennesimo film su un marito piantato. Insomma, Il Caimano sarebbe quello che essenzialmente è: il film girato da Moretti in crisi su Moretti in crisi che gira un film.
Per ragioni di incasso, meglio dunque camuffare Il Caimano da film di Moretti in crisi su Berlusconi in crisi, anche se tale diventa soprattutto negli ultimi cinque minuti, quando Moretti stesso dà al personaggio di Berlusconi non solo i propri tratti, ma i tratti d'una luciferina grandezza. Infatti Moretti non è la Guzzanti: non caricatura, non ridicolizza l'avversario. Ne conosce le doti e sono queste ad affascinarlo.
Il discorso in auto, dopo il processo, è una lucida invettiva contro alleati ingrati e infidi, dove Moretti si identifica con Berlusconi ben oltre la recitazione. Per lui Berlusconi è quel che Hearst era per Welles: la sua metà oscura. E nello sguardo che in corte d'assise fende la Boccassini (Anna Bonaiuto) affiora il proverbiale disprezzo di Moretti per certi giornalisti, più che la proverbiale diffidenza di Berlusconi per certi magistrati.
Sconfinato, l'ego di Moretti può trovare un riferimento solo in un rivale di vaglia come Berlusconi. Verso di lui non si permette condiscendenze, come verso D'Alema in Aprile con l'ormai celebre: «Di qualcosa di sinistra!». No, il Berlusconi di Moretti non è la fazione, che squallidamente sbiadisce: è la nazione, che malinconicamente decade, l'«Italietta» di cui bercia il produttore/distributore polacco (Jerzy Stuhr). Berlusconi è espressione, non causa della decadenza. Rispetto a sinistre e destre accomunate dall'opportunismo e dalla codardia come quelle rappresentate nel Caimano, almeno Berlusconi è Berlusconi. Anzi, è quasi un de Gaulle.
Si diceva che questo è un film su Moretti camuffato da film su Berlusconi. Infatti, per quanto il personaggio del produttore affidato a Orlando sia agli antipodi della persona e del regista che è Moretti, nella sua crisi familiare emergono riferimenti autobiografici di quest'ultimo. Orlando è lì per confondere le piste e per consentire di ritrovarle allo spettatore morettiano, che è un suo devoto e un suo coetaneo.
Da applauso gli attori. Con le sue vere, dunque incantevoli rughe (mai lifting ne alteri il fascino!), Margherita Buy dà la sua migliore interpretazione. Stuhr, che recita in italiano, si conferma il grande che è nel ruolo del grillo parlante polacco che offende gli italiani dicendo loro la verità. E anche Placido impersona se stesso, con un umorismo che dovrebbe avere anche quando dirige. A proposito: mai film italiano ha schierato tanti registi come attori: oltre Moretti, Stuhr e Placido, compaiono Garrone, Grimaldi, Mazzacurati, Montaldo, Sorrentino e Virzì, più lo sceneggiatore Rulli.
Domani sapremo se per la terza settimana di fila un film italiano è campione d'incassi. Sarebbe bello. Sarebbe meglio se a un buon film, cattivo con Berlusconi, rispondesse un buon film, cattivo con Prodi. Forza Italia.
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