Penati contro Vendola: «Ha cavalcato una vittoria non sua»

«L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme, non è il conforto di un normale voler bene, l’appartenenza è avere gli altri dentro di sè». Tra un «È la lotta finale, Uniamoci, e domani l’Internazionale sarà il genere umano» e un «Bella ciao» lunedì sera in piazza del Duomo risuonavano le note della Canzone dell’appartenenza di Giorgio Gaber. Sentire Gaber in una piazza rosso arancione quanto meno sorprende un po’.
Sono passati 18 anni dall’ultima volta che Milano ha eletto un sindaco di centrosinistra, così diciassette anni sono trascorsi da quando Ombretta Colli scese in campo con il centrodestra provocando disappunto e reazioni stizzite da parte dei compagni che non esitarono a gridare al tradimento del Signor G. L’appartenenza è una melodia che, uscendo dalle bocche del popolo arancione, si distorce.
Che sapore ha la riappropriazione di quelle parole da parte di chi le aveva ostracizzate? Nessuno, anche perché l’appartenenza non è rossa ma al massimo ciellina. «In realtà quella canzone divenne quasi un inno di Cl - spiega la moglie di Gaber, Ombretta Colli - la canzone, composta nel 1995 parlava della solitudine come condizione dell’individuo, che cerca aggregazione nella famiglia, nei club, nello sport, nei partiti - sta all’individuo trovare la sua giusta appartenenza - piacque molto a don Giussani. Parlò con mio marito della canzone, gli scrisse un biglietto o si parlarono al telefono, non ricordo esattamente, in cui diceva che appunto che aveva molto apprezzato il pezzo. L’unica cosa in cui non si ritrovava era il punto di vista: il testo diceva “io”, Don Gius preferiva il “noi”». Don Gius rimase così conquistato dal brano che scrisse anche l’introduzione al disco Un’idiozia conquistata a fatica, tanto che L’appartenenza divenne quasi l’inno di Cl.
Sentire cantare in piazza Duomo quella canzone ha il sapore della riabilitazione postuma? «Diciamo che mio marito era un pensatore libero, volava alto, andava oltre e proprio per questo a lui non piacevano i partiti, li chiamava “gruppi sinistri”, così i partiti si erano indispettiti nei suoi confronti. Bene non è stato trattato, con il tempo però la politica ha imparato a capirlo, ora i suoi ammiratori sono tantissimi a destra come a sinistra: ogni volta che incontro Bossi mi cita la Libertà è partecipazione, ma anche Veltroni è uno dei suoi principali estimatori. Più che altro diciamo che Gaber era avanti, così non venne mai capito a fondo nè dalla destra nè dalla sinistra, solo con il tempo lo si è compreso».
Un brutto episodio con la sinistra più radicale risale invece agli anni di piombo... «Quando mio marito scrisse negli anni Settanta la canzone contro le Br, di una ferocia incredibile, nessuno voleva pubblicarla, segui un periodo molto difficile, mi ricordo che per spaventarci ci lanciavano i topi morti in casa. Fu molto dura.
Poi le cose migliorarono, la politica cominciò a capire il cantautore super partes, ma di nuovo quando Ombretta Colli, sua moglie, scese in campo a fianco del centrodestra, il signor G divenne nuovamente emarginato dalla sinistra.


«Mio marito disse che era una buona idea che facessi politica, anche se pensavamo che la mia esperienza sarebbe stata breve, di un paio di anni. Le cose erano avviate, lui aveva il suo lavoro, io il mio. Lui era interessato alle cose concrete per la gente, era come se guardasse dall’alto lo sgangheramento del mondo dall’alto. Lui diceva ciò che pensava».

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