Il pensatoio di destra che snobba la destra e odia il «feltrismo»

FORMA E SOSTANZA Gli intellettuali alla corte di Gianfranco citano Gramsci e Gentile, Tex e Bukowski. Ma il futuro del Pdl si gioca su una cosa concreta: la riforma della magistratura

Il poster di Comunardo Niccolai non c’è. Qui, in questo palazzo di fronte a San Macuto, a pochi passi dal Pantheon, c’è il cervello di Fini. È solo un piano, ma si nota un certo movimento, facce che vanno e vengono, giacche, jeans, qualche barba, un’idea di destra fuori dalle barricate. Questa è Farefuturo, fondazione, webmagazine, pensatoio, con il gusto di chi si sente eretico. Qui ci sono i consiglieri fraudolenti delle svolte di Gianfranco. Le sanno tutte a memoria. Eluana e la libertà di morire in santa pace, la crociata contro il velinismo, le porte aperte agli immigrati di buona volontà, le aperture a sinistra, l’ora islamica, il de profundis del berlusconismo e poi quel senso di disgusto verso chi sguaina la spada. Loro, i futurfini, usano solo il fioretto. Non si urla, non si attacca, non si sbrana, si sta con Berlusconi, ma turandosi il naso. È una questione di pelle. I futurfini faticano a stare in questa Italia divisa in due, bianchi e neri, guelfi e ghibellini, cav e no cav. La politica è pane degli angeli. E gli angeli non menano fendenti. Qui, se non l’avete ancora capito, il «feltrismo» è più o meno una bestemmia.
Niccolai era lo stopper del Cagliari di Gigi Riva. Il nome di battesimo è un inno all’anarchia. Quando Scopigno, allenatore filosofo, lo vide con la maglia della nazionale strabuzzò gli occhi e capì tutta la miseria del calcio. Niccolai è passato alla storia per i suoi autogol. Ora i futurfini, che amano crogiolarsi un po’ nella nostalgia, hanno staccato la figurina dall’album degli anni ’70 e l’hanno appiccicata sul nome di Feltri. Ora sono qui in attesa. «Che fa risponde?». Forse, magari con un rombo di tuono.
Farefuturo funziona così. Fini è il presidente della fondazione. L’idea è di Adolfo Urso. Alessandro Campi è il direttore scientifico, Angelo Mellone quello editoriale, Mario Ciampi organizza, Filippo Rossi guida il webmagazine, Barbara Mennitti srotola Charta Minuta, la rivista bimestrale. Quasi tutti li conosci da una vita. Tutti giurano che Fini ci crede davvero. Sta facendo i conti con il suo passato. Con gli anni ha messo da parte l’estetica delle camicie nere, il ricordo di Almirante e il fardello dei colonnelli. Si è scoperto un po’ radicale. Non è un caso che sui temi etici dialoghi alla grande con Benedetto Della Vedova, uno dei tanti figliocci di Giacinto Pannella, detto Marco, e prima o poi con lui troverà il coraggio di occuparsi sul serio di economia. Della Vedova è il padre di Libertiamo e segue con affetto i ragazzi che hanno messo su «Non voglio il posto fisso, voglio guadagnare». È il fronte di trentenni che si batte per l’abolizione dell’articolo 18, quello che blinda i contratti a vita. Il resto del mondo di Gianfranco è un po’ di reduci di Ideazione, una spruzzata di nuova destra, il vascello pirata del Secolo, l’amicizia con gli intellettuali spagnoli vicini ad Aznar, la fondazione Adenauer e il sogno di assomigliare a Sarkozy.
Alessandro Campi è lo storico che sta riscrivendo l’identità della destra. È lui che ha convinto Fini a indossare gli abiti del conservatore e a parlare come un lib-lab. Campi qualche anno fa stava a Ideazione, la rivista fondata da Domenico Mennitti, uno degli avversari di Fini nel Msi di vent’anni fa.
Mennitti era laico e modernista. Fini lo è diventato. È un leader post moderno, ruba le identità dove serve. È vero che il suo Pantheon è senza confini e lì è possibile far convivere le strategie di Gramsci e Gentile, Carl Schmitt e Marinetti. Non è un peccato, ma qualche volta confonde. A destra gli intellettuali non hanno mai amato il partito. Sono irregolari per tradizione. È per questo che è difficile trovarli. Se chiedi a qualcuno: «Sei un intellettuale del Pdl?». La risposta quasi sempre è: «Non proprio».
Filippo Rossi ha scritto con Luciano Lanna Fascisti immaginari. È lì che probabilmente si trova la svolta pop di Fini. Quel libro lo ha fatto sentire ancora giovane, anche se gli anni passano e l’attesa è lunga. L’estetica dei «fascisti immaginari» mescola Charles Bukowski e Lando Buzzanca, Patty Pravo e Padre Pio, Willy il Coyote e Carmelo Bene, Craxi e i ciellini, Don Backy e Houellebecq, Gaber e Corto Maltese, Tex Willer e De Andrè, Vasco Rossi, Barbie e i puffi azzurrognoli. Ma tutto questo che c’entra con il futuro del Pdl? Nulla.

Niccolai o Corto Maltese, feltrismo o farefuturismo, destra o sinistra sono solo apparenze. I rapporti tra Gianfranco e il Cavaliere sono appesi a una sola domanda: cosa farà Fini sulla giustizia? Riforma o non riforma? This is the question.

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