Politica

Pensioni, il governo chiude le «finestre»

I più penalizzati saranno i nati intorno al 1950 e in gran parte residenti al Nord

Fabrizio Ravoni

da Roma

Insieme alla legge finanziaria, e a una serie di atti amministrativi, «forse sarà necessario anche un decreto legge», annuncia Tommaso Padoa-Schioppa. Il decreto legge probabilmente non interesserà l’aspetto fiscale della manovra (fra l’altro, gli atti amministrativi potrebbero interessare anche l’Anagrafe tributaria concentrata sul contribuente e non sull’imposta), ma quello dei risparmi di spesa. E, nel caso specifico, le pensioni. Non è escluso, quindi, che il decreto anticipato dal ministro dell’Economia riguardi il blocco delle pensioni.
Se il governo vuole eliminare o ridurre lo «scalone previdenziale» della riforma Maroni-Tremonti e vuole portare a 58 anni (dai 57 attuali) l’età minima per andare a riposo dopo 35 anni di contributi, è essenziale intervenire con un atto di legge che entri in vigore immediatamente il 30 settembre, insieme all’approvazione della legge finanziaria da parte del Consiglio dei ministri.
La modifica della normativa previdenziale, infatti, deve essere preceduta da un decreto che blocca una, se non due, finestre previdenziali. In caso contrario, tutti i lavoratori con i requisiti in regola andrebbero a riposo appena possibile: come dimostra la «corsa» alle pensioni di anzianità, segnalata dall’Inps, con una crescita di oltre 66 mila pensioni rispetto al 2005.
Con il decreto, invece, proprio perché modifica i parametri, sarebbero costretti a restare al lavoro per sei mesi, o - forse - per un altro anno. Ne consegue che i lavoratori che a novembre (data della prossima finestra) hanno maturato i requisiti richiesti (57 anni d’età e 35 di contributi) con il decreto si vedranno costretti a restare al lavoro. E potranno andare a riposo soltanto quando, in base alla nuova normativa, avranno raggiunto i 58 anni ed i 35 anni di contributi.
Con il nuovo profilo previdenziale tratteggiato da Cesare Damiano, infatti, oltre ad elevare di un solo anno l’età pensionabile viene rispettato il programma dell’Unione che prevedeva di superare lo «scalone» dei tre anni (da 57 a 60) previsto dalla riforma Maroni-Tremonti. «Scalone» che sarebbe scattato nel 2008. In più, il governo sembra orientato ad allungare ulteriormente l’età lavorativa attraverso un meccanismo - ancora da mettere a punti nei dettagli - di incentivi e disincentivi.
Ed è ancora tutto da studiare il meccanismo di copertura dell’eventuale intervento in materia previdenziale. La riforma Maroni-Tremonti prevedeva 4 miliardi di risparmi a partire dal 2008. La modifica dei requisiti richiesti si trascina dietro un mancato risparmio (od una maggiore spesa) che, per il 2007, i tecnici dell’Economia stimano nell’ordine dei 2 miliardi di euro. Risorse che devono essere individuate nella legge di bilancio.
Da notare che a restare imbrigliati nel blocco previdenziale sarebbero i lavoratori che sono entrati nel mondo del lavoro subito dopo il Sessantotto, nati intorno al 1950. In massima parte, del Nord. Proprio su questi profili professionali ci fu una lunga discussione fra Tremonti e Maroni prima del varo della riforma della precedente legislatura. La Lega, infatti, voleva difendere questi profili professionali, tant’è che l’entrata in vigore della riforma venne fatta scattare a partire dal 2008 per queste ragioni. Ora, quei lavoratori - con il decreto di blocco delle finestre - sarebbero costretti a restare in servizio; peraltro con bonus decisamente ridotti rispetto a quelli in vigore.

E per la finanza pubblica si aprirebbe un «buco» da coprire di due miliardi: poco meno della metà dello sconto della Finanziaria.

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