I prezzi del carburante in inesorabile ascesa preoccupano e fanno molto arrabbiare noi comuni cittadini, ma come sempre bisogna sforzarsi di vedere il lato positivo anche dei guai: soprattutto ricordandosi che cè sempre chi sta peggio. Al Pentagono, per esempio, non sanno più dove sbattere la testa: e stiamo parlando del ministero della Difesa degli Stati Uniti, mica della concessionaria dauto dietro langolo. Gli ultimi conteggi rivelano che le missioni militari da tempo in corso in Irak e in Afghanistan lhanno portato in vetta alla lista dei consumatori Usa: ogni giorno fa fuori 395mila barili di petrolio, per intendersi la stessa quantità di un intero Paese neanche tanto piccolo come la Grecia.
La parte del grande bevitore la fa lAviazione militare, che brucia da sola la metà del carburante disponibile per le Forze armate. Che poi sarebbe un bel po meno di quanto effettivamente finisce in fumo: periodicamente lAir Force riceve dal Congresso colossali assegni per pagare i conti del benzinaio (lultimo valeva un miliardo e mezzo di dollari), ma poi torna subito in rosso. Fino al successivo tampone.
Ora però anche il mondo politico americano comincia a pensare che sia giunto il momento di risparmiare un po. Steve Israel, un deputato democratico di New York, ha trovato unimmagine molto efficace per spiegare quelle che considera storture inaccettabili: «Ci facciamo prestare soldi dalla Cina per finanziare i bilanci della Difesa per comprare petrolio dal Golfo Persico che alimenta le nostre forze armate affinché ci proteggano dalla Cina e dal Golfo Persico: mi pare una vulnerabilità insidiosa».
Israel e altri come lui pensano che il Pentagono non solo dovrebbe finalmente spendere un po meno prodigalmente i suoi fondi, ma che potrebbe trasformare le proprie enormi dimensioni in unopportunità: quella di diventare una forza-guida per il progresso del mercato dellenergia.
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