Il pentito di Prima linea confessa: la Digos riapre le indagini su D’Elia

Stefano Zurlo

da Milano

Tre ore di interrogatorio. Mercoledì scorso, Roberto Sandalo ha raccontato la sua verità sugli anni di piombo agli agenti della Digos di Firenze. Sandalo è un nome importante nella storia dell’eversione italiana: militante di Prima Linea, poi pentito, il 5 giugno aveva concesso un’intervista al Giornale in cui aveva accennato a una rapina, finita nel sangue, compiuta dal gruppo di fuoco toscano di Prima Linea, guidato alla fine degli anni Settanta da Sergio D’Elia. La Procura di Firenze aveva immediatamente aperto un’inchiesta.
Ora Sandalo ha confermato quel racconto e, secondo quanto risulta al Giornale, ha pronunciato davanti agli investigatori fiorentini anche il nome del terrorista che gli aveva svelato l’episodio: «Io - ha detto Sandalo al Giornale - quel giorno non c’ero, ma un compagno di Prima Linea di Torino nel 1979 mi spiegò come erano andate le cose».
Il gruppo toscano, secondo Sandalo, «aveva messo gli occhi su una banca», in un paesino, probabilmente della provincia di Firenze. «Il gruppo toscano, al cui vertice c’era D’Elia, non agì da solo: si formò un gruppo di fuoco nazionale. C’era Marco Donat Cattin, arrivato da Milano. Poi c’era un compagno torinese. Poi c’erano due toscani. Quattro in tutto». E l’unico di cui sappiamo il nome, Donat Cattin, oggi non c’è più.
Doveva essere un colpo facile, ma qualcosa andò storto: una guardia giurata sbarrò l’ingresso ai rapinatori. «Qualcuno, probabilmente il mio compagno torinese, fece fuoco. Quel poveraccio morì», o forse fu ferito gravemente, «in nome di una rivoluzione assurda». Un episodio terribile che Sandalo aveva sepolto in fondo alla sua memoria e non aveva messo a verbale nel corso delle sue fluviali deposizioni nel 1980.
Poi è esploso il caso D’Elia: l’ex terrorista, condannato per la morte a Firenze dell’agente Fausto Dionisi, è stato eletto deputato e poi nominato segretario d’aula alla Camera. La vedova di Dionisi, in lacrime, si è detta «sconvolta»; altri, fra i parenti di quei morti, hanno protestato contro uno Stato così insensibile al dolore; dai banchi della destra molti parlamentari hanno chiesto a D’Elia di fare un passo indietro. Lui non ha ceduto, le polemiche si sono affievolite ma la situazione resta incandescente.
Giusto l’altro ieri Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna, ha lanciato un attacco durissimo a D’Elia: «Trasformare l’ex terrorista Sergio D’Elia in un autorevole rappresentante delle istituzioni non è solo uno schiaffo per le vittime, per i cittadini onesti e per la democrazia, ma un messaggio inquietante di irresponsabilità proposto alla società e alle nuove generazioni».
Sandalo ha dunque deciso di dire la sua verità su una stagione oggi lontana, ma forse non del tutto esplorata. «Si fa un gran parlare di quell’epoca sciagurata - ha detto al Giornale - e lo stesso D’Elia fa mille distinguo. Farebbe bene a raccontare tutta la storia di quegli anni e ad assumersi le proprie responsabilità».
Così l’urgenza della cronaca fa riaprire una ferita mai rimarginata: «Non accetto i ragionamenti contorti di D’Elia che si sfila da quel passato. Lui era il numero uno del gruppo toscano». Toccherà alla Procura di Firenze soppesare le parole di Sandalo e, soprattutto, cercare conferme alla sua narrazione. Nelle prossime settimane verrà sentito il militante rivoluzionario che si confidò con lui.

Oggi quell’uomo è libero e si è reinserito nella società. Contemporaneamente gli investigatori frugano negli archivi cercando le eventuali tracce di una rapina finita male fra il 1978 e il 1979. Negli ultimi giorni ci si è concentrati su un colpo in provincia di Firenze.

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