Pentito si ribella, indagato il pm

Magistrato antimafia accusato di aver «estorto» la collaborazione

Gian Marco Chiocci

nostro inviato a Salerno

Il pentito si pente d’essersi pentito senza pentirsi d’aver accusato chi l’aveva convinto a pentirsi. Lo scioglilingua è di moda al palazzo di giustizia di Salerno dov’è approdata la storia del collaborante calabrese Giorgio Cavaliere reo - a suo dire - d’aver accusato degli innocenti per volere del pm catanzarese, Vincenzo Luberto, magistrato antimafia già al centro della relazione degli 007 ministeriali per i violenti contrasti con il collega Eugenio Facciolla. Luberto risulta indagato insieme a poliziotti, carabinieri, avvocati, e allo stesso Cavaliere, per una vicenda che ha dell’incredibile e che la toga sott’inchiesta smentisce, con memorie e atti ufficiali, nel modo più assoluto. Il procedimento penale 3268/05 (pm Maria Grazia Genoese) nasce da una dettagliata denuncia del criminale cosentino e dal suo successivo interrogatorio reso in procura a Salerno il 30 settembre del 2005 nel quale Cavaliere racconta delle vicissitudini che lo porteranno ad entrare e uscire di prigione. Ad un certo punto - spiega Cavaliere a verbale - uno dei suoi precedenti avvocati gli garantisce che in cambio di qualche ammissione sarebbe stato liberato. Il pregiudicato accetta, confessa, ma non esce di galera. Quando scadono i termini formula un’istanza di scarcerazione, che viene subito accolta. Purtroppo per lui, quand’è ormai prossimo a lasciare il penitenziario, è raggiunto da un’ulteriore ordinanza d’arresto nella quale gli si contestano nuove «aggravanti» che di lì a poco verranno però cassate dal tribunale di Catanzaro. In libertà Cavaliere ci resta un mese appena perché il 5 marzo 2003, nell’ambito dello stesso procedimento, torna in cella per nuovi episodi di riciclaggio e usura. Mentre Cavaliere combatte la sua battaglia a distanza col pm Luberto, sempre il suo ex difensore - com’è riportato nella memoria depositata a Salerno - gli comunica di aver saputo dal medesimo pubblico ministero che di lì a poco sarebbe stato nuovamente ammanettato se non avesse accusato due personaggi «di episodi di riciclaggio ed usura riconducibili ad attività di un gruppo mafioso cosentino».
Cavaliere riferisce d’esser rimasto ininterrottamente al fresco fino al 30 aprile 2003 allorché, nella stanza del pm, viene sollecitato a revocare uno dei due avvocati e a ripensarci sulla «mafiosità» di certi figuri. Cavaliere tiene il punto e ribadisce che non ne sa niente del coinvolgimento dei soggetti indicati dal pm in fatti riconducibili ad attività di criminalità organizzata. Risultato: «Finisce in isolamento fino al 10 maggio 2003 - spiega il suo attuale avvocato, Ugo Colonna - in condizioni disumane». In successivi interrogatori Cavaliere resta fermo sulle sue posizioni quando «posto in uno stato di soccombenza psicologica» rende alcune dichiarazioni «tese a “compiacere” il dottor Luberto». Fa timidi accenni ad alcuni personaggi in qualche modo vicini a uomini d’onore, ma è vago, poco convincente. Parla di alcuni soggetti, non accusa tutti. Così, nel tira e molla, alla fine Cavaliere si vede negati gli arresti domiciliari. Arrabbiatissimo chiede udienza al pm per rappresentargli l’intenzione di porre termine alla collaborazione. Da qui in poi, stando sempre al resoconto di Cavaliere, il pm e l’ex avvocato provano a farlo desistere fino a quando non sorgono attriti per un interrogatorio segreto con altri pm, Facciolla e Minisci. Il pregiudicato si sente stretto all’angolo perché - dice - mi viene fatto presente che rischio seriamente una condanna a svariati anni. C’è però una via d’uscita: fare una specifica richiesta per il programma di protezione «in quanto, a dire dell’avvocato (...) tale domanda istruita da Luberto avrebbe evitato la carcerazione». Il suggerimento è vincolato, però, alla solita richiesta: accusare taluni soggetti di reati mafiosi. Stavolta Cavaliere cede. E in un nuovo interrogatorio col pm fa riferimenti alla cosca Muto dopo che quest’ultimo, sempre secondo il pentito, gli avrebbe detto cosa verbalizzare al pari dell’ex difensore. Cavaliere però non se la sente di andare oltre. E di lì a poco deciderà di fare marcia indietro esibendo gli appunti del precedente avvocato sulle cose (false) da dichiarare, elencando le irregolarità commesse durante la confessione, scoprendo che due bobine degli interrogatori sono sparite e che una è stata manomessa.

Circostanze gravi riversate, nero su bianco, ai sostituti Facciolla e Minisci a fine 2004, ribadite a settembre 2005, confermate a febbraio 2006. Circostanze assolutamente false e calunniose, stando al pm Luberto. Delle due, l’una. Chi mente?
gianmarco.chiocci@ilgiornale.it

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica