Pep e Mou uniti da Madrid Vita parallela di due Special

L’incontro è già avvenuto: Champions scorsa, Inter-Barcellona e viceversa, sappiamo come la pratica si concluse. In verità i due erano già stati assieme, non rivali, semmai dipendenti uno dall’altro, per anni quattro, dal Novantasei al Duemila, vedi alla voce Barcellona, Josep e Josè, due nomi uguali, Guardiola giocatore e Mourinho viceallenatore dei blaugrana. Dicono gli scommettitori che si siano improvvisamente riavvicinati nei pronostici, li unirebbe Madrid, capitale spagnola e sede della finale di champions league. Madrid per un catalano è tutto. Madrid per un portoghese cresciuto in Catalogna, emigrato nel Regno Unito, passato in Lombardia Italia, rappresenta la prossima isola del tesoro, stando a radiomercato (lo stesso che accredita a Josè la frase «il contratto è semplice, dura altri tre anni, con una clausola che mi consente di andarmene quando voglio» pronunciata la stessa sera del trionfo a Stamford Bridge). Comunque i due sono in prima fila nello stadio virtuale europeo, uno ha espulso la sua ex scolaresca del Chelsea, l’altro si è divertito a respingere, umiliandoli nella forma e nella sostanza, le sturmtruppen dello Stoccarda.
Josep detto Pep e Josè detto Ze Mario, sono tipi che piacciono alle gente che piace. Alle femmine innanzitutto, per quell’insieme un po’ intrigante, la barba mai perfettamente rasata, lo sguardo che pare sfuggire e invece è di quelli che quasi impongono il silenzio e rapiscono l’attenzione, il gusto nell’abbigliamento, classico, essenziale ma ricercato nei dettagli, forse meno perfetto per il catalano che ha sfilato per Antonio Mirò ma indossa pantaloni sin troppo fascianti. Di certo sono distanti nel loro stile dialettico, Guardiola non provoca, Mourinho pizzica, Pep evita l’affondo, Josè affila la lama, le loro conferenze stampa sono di fascino diverso, la sostanza è simile, nessuno dei due ama l’uno contro uno, Mourinho, per esaltare la propria arte di affabulatore, preferisce i toni bassi di voce con il tono altissimo del pensiero dinanzi alla folla di astanti, le parole di Guardiola tendono alla pace, memorabile il suo pensiero affettuoso a Mazzone e a Maldini nella finale di Champions a Roma.
Hanno studiato calcio partendo da uno spogliatoio diverso. Guardiola da sempre calciatore, di livello, tituli mille in Catalogna per poi esplorare il nostro football, Brescia e Roma (non onorato da Fabio Capello) respirando qualche gas tossico, una squalifica per doping poi cancellata dall’assoluzione, e terre lontane, Egitto e Messico e poi il bingo da allenatore, il «triplete» al primo anno, campionato, coppa del re e Champions insieme con la Intercontinentale, sei trofei vinti nella stessa stagione, roba che nessuno prima di lui, nemmeno sir Ferguson. Mourinho ci aveva provato con il Porto, arrivando ai tre tituli, campionato, coppa, Uefa, sognando di poter tentare il colpaccio quest’anno, grazie all’Inter di Londra.
Hanno idee differenti nei disegni di gioco, diverse ma non opposte: il catalano opta puntualmente sul 4-3-3, il portoghese naviga a vista, dipende dalle debolezze altrui, passa dal 4-4-2 allo schema anti-Chelsea. Entrambi non sono schiavi della tattica, semmai dell’ego. Uno, Pep, cerca di esaltarlo nel gruppo, l’altro lo assorbe totalmente, da parafulmine, per isolare la squadra dai venti contrari, dal rumore dei nemici.
Guardiola per costruire il sogno Barcellona ha messo in vendita Ronaldinho, Deco, Zambrotta, Eto’o.

Mourinho per allestire la migliore vetrina italiana ha chiesto i migliori, per ultimo un olandese venuto dal Bernabeu. E Madrid potrebbe vederli di nuovo assieme anche se il viaggio è ancora lungo, i tifosi del Real temono questo epilogo, l’odiato catalano contro il futuro entrenador. Cose di calcio.

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